Quantcast
Channel: a mali estremi Estrema Riluttanza
Viewing all 184 articles
Browse latest View live

Tirar tardi e la nobile arte del fissar scarpe

$
0
0
E' domenica  mattina e ho dormito fino a un orario che è meglio non precisare in caso mia mamma legga questo post e svenga; negli anni dell'adolescenza, a casa nostra chi voleva dormire oltre le 10 la domenica mattina si trovava immancabilmente ad affrontare tutto il casino immaginabile: scale spostate, porte sbattute, nonché la lucidatrice (oggetto ormai vintage) che misteriosamente finiva sempre con lo sbattere contro la porta della camera da letto, quasi si trattasse di una potentissima calamita attira-lucidatrici.
La genitrice in questione potrebbe obbiettare che i lavori son da fare e se uno ha solo la domenica non è che possa aspettare i comodi della bella addormentata di turno; tutto vero e tuttavia la disapprovazione per quelle debosciate che osavano poltrire fino a tardi era a dir poco palpabile.
Ma passiamo sopra questi traumi giovanili e arriviamo al punto. Oggi sono a casa da sola e ho deciso di approfittarne per farmi i pancake, ovviamente non per colazione ma al posto del pranzo; potrei tirarmela e dire che è per il brunch ma è inutile ammantare di forestiero la cruda realtà, oggi si stravizia, punto.
La scelta dei pancake è in effetti un po' obbligata, essendo che ho finito il pane da toast e non l'ho ancora rifatto, lo stesso dicasi del pane normale (è un periodo in cui la voglia di fare non mi appartiene).
Dopo aver divorato i primi quattro pancake, debitamente ammantati di nutella o miele e cannella, mi rendo conto che c'è ancora parecchia pastella nella ciotola, peccato che io non abbia la benché minima intenzione di star lì a cuocere altre frittelle quindi butto tutto sulla piastra, originando un simpatico frisbee pastelloso. Certo che una volta fatto non posso mica buttarlo via (a casa Riluttanza non si butta via niente) quindi mi faccio coraggio e lo attacco con la teoria dei piccoli passi, tagliandone delle fette e, poco a poco, il mostro è sconfitto (in compenso io sono tonfa, digerirò forse dopodomani).

Una volta estratta la prima fetta, guardando il piatto mi son trovata davanti un enorme Pac-Man e il pensiero è inevitabilmente corso allo stimatissimo Signor Croci che nella giornata di ieri ha inaugurato a Bologna lo Spazio Tilt, l'avanguardia di quello che sarà il futuro Museo del Flipper a Bologna.

Le mie performance/aberrazioni culinarie erano accompagnate da una colonna sonora radiofonica, inizialmente Per favore parlate al conducente, seguito da Yes weekend, mentre la parte degustativa era corredata dalla lettura dell'immancabile rivista in cui stamattina si sottolineava l'assoluta imprescindibilità del golfino di cachemire e del tubino nero nel guardaroba di qualsiasi donna. Ops.
Mentre lottavo col Godzilla-pancake in radio si parlava di questo fenomeno musicale degli shoe gazers; la mia prima reazione è stata: chi xxx sono sti shoe gazer? Seguita immediatamente da: certo che non so proprio una mazza! Per fortuna altri ascoltatori condividevano le mie difficoltà quindi i conduttori sono corsi in nostro aiuto, rivelandoci che questi fissatori di scarpe venivano così definiti perché durante il concerto, invece di guardare il pubblico, passavano tutto il tempo a fissarsi i piedi. Forse sarà stata l'influenza della rivista che avevo davanti ma è sorto spontaneo il parallelo con quelle fighine che vanno in giro con l'aria annoiata e il broncio, fingendo di non interessarsi a nulla e a nessuno, convinte sostenitrici del Teorema di Ferradini nel quale un tizio sostiene che più te la tiri e prendi a pesci in faccia il prossimo, più questo prossimo ti desidererà. Cosa non troverebbe in lui un buono psichiatra (cit.).
In realtà basta una rapida occhiata a wikipedia per far luce sul mistero: i signori in questione facevano smodato uso di pedalini per cui gli toccava guardar sempre per terra onde evitare di pestare il pulsante sbagliato e combinare un casino. In effetti mi è capitato in più di un'occasione di osservare il palco intorno ai musicisti e notare quell'ammasso di cavi e accrocchi vari chiedendomi quanto fosse alto il rischio di rimanere fulminati, soprattutto con tutti quei bicchieri pieni nei paraggi.
Adesso mi viene il dubbio che l'espressione assorta e pensierosa che si nota a volte sul volto del musico di turno non sia da attribuire a chissà quali tormenti esistenziali che gli dilaniano l'essere, bensì al più prosaico sforzo di concentrazione richiesto per ricordare quale maledetto pedalino deve pigiare tra i trenta che ha davanti.
Poi qualcuno dovrà anche spiegarmi come mai, nonostante le infinite possibilità che l'italiano ci offre, non abbiamo trovato di meglio che chiamare sti aggeggi pedalini (non è che pretenda proprio una parola nuova di zecca ma fate almeno uno sforzo, anche solo un passettino: magari pedaletti o pedalozzi); la prima volta che ho sentito Rico parlare di un video tutorial per imparare a usare i pedalini confesso che mi ero un po' preoccupata...


P.S. Consiglio vivamente di dare un’occhiata al video di Teorema per l’accurata e azzeccatissima scelta delle immagini. Come sempre le perle le scopri per caso.
P.P.S. Chissà quali pedalini avranno usato…
P.ecc ecc S. Questo articolo è stato scritto per la rubrica L'Angolo dell'Estrema Riluttanza su Stonehand Ex Press

Baràtt: loschi figuri ammantati di oscurità

$
0
0
Non so cosa abbiate fatto voi il 10 novembre ma, in caso siate stati sul divano a vegetare broccolo-style, non preoccupatevi, noi ne abbiamo fatta più che a sufficienza per tutti.
Procedo con la narrazione del nostro D-day.
***
E' da più di un mese che ci lavoriamo ed  è finalmente arrivato il momento della verità: oggi pomeriggio alle 16 parte Baràtt, lo spazio di libero scambio fumettoso organizzato dall'associazione MicaPoco di cui faccio parte.
Trattasi di un evento collegato a Cesena Comics, il festival dei fumetti che si tiene a Cesena nella settimana dal 12 al 18 novembre; abbiamo pensato di organizzare un pomeriggio in cui chiunque può presentarsi con fumetti già letti da scambiare gratuitamente con quelli di altri partecipanti, un modo per avere fumetti "nuovi" a costo zero, alla faccia della crisi.
Sono le 9.30 ed è appena suonata la sveglia; sono ancora un po' rintronata ma urge scuotersi, tra un po' passa l'Albertini a prendermi col furgone per andare alla scuola media Anna Frank a ritirare le sagome giganti dei Peanuts che ci prestano per l'evento. Accendo il cell e mi arriva un sms della Ste con un contrordine, passa lei a prendere tutto, appuntamento al bar Roma alle 11.
Mentre scendo a fare colazione squilla il telefono e la conversazione segue all'incirca questo canovaccio:
1 - Ste:"Ciao, qua abbiamo già fatto tutto, è passato a prendermi il babbo di Mirco perché oggi pomeriggio gli serviva il furgone, tu dopo vieni al bar Roma?"
2 - Io:"Sì, vengo alle 11"
3 - Ste:"Ok perché io non ho la macchina quindi se mi puoi dare un passaggio quando abbiamo finito..."
4 - Io:"Nessun problema, ci vediamo dopo"
5 - Ste:"Ok"

Alle 10.30, colazionata e ripulita, mi blindo con il giubbotto pesante e inforco lo scooter (sabato è giorno di mercato quindi parcheggio impossibile); fa un po' freddino ma tanto il viaggio dura solo un quarto d'ora, posso farcela. Arrivo al bar Roma e trovo la Clodia che mi squadra con due occhi così, visto che da programma a quell'ora dovevo essere con l'Albertini a recuperar sagome.
Le spiego brevemente l'accaduto ma, quando arrivo al momento della telefonata, il cielo improvvisamente si oscura e cala su di me il gelo della morte certa: la memoria è tornata alla frase n.3 della conversazione (vedi sopra). Cazzarola, come faccio a dare un passaggio alla Ste in scooter? Non ho mica un altro casco! E adesso chi glielo dice? La sudorazione aumenta esponenzialmente.
Per mia fortuna, una volta illustrato il marone (stupidaggine di proporzioni comunali) che ho combinato, la Rinaldi corre in mio soccorso offrendo i servigi della Tommasoni-mobile come taxi e io ricomincio timidamente a respirare.
Quando poi arriva l'Albertini come prima cosa la informo del servizio taxi Tommasoni, per poi infilare rapidissimamente nel discorso tutto il resto. Alla fine me la cavo con un paio di occhiatacce di quelle che tagliano l'acciaio come fosse burro ma conservo il cuoio capelluto, tutto considerato poteva andare peggio.
Il resto della mattinata scorre via rapidamente mentre l'Ale sistema nelle vetrine le varie tavole di fumetti forniteci dall'associazione Barbablù e noi mettiamo a punto gli ultimi dettagli, tra cui come diavolo vestirci a pomeriggio perché dovremo stare dalle due alle otto all'aperto e la questione è delicata; io propendo per un look ormai consolidato, quello da benzinaio/posteggiatore, per cui sarò il più coperta possibile, magari non proprio un gran bel vedere ma...
L'appuntamento è in galleria Oir per le 14.30 quindi praticamente parto dal bar Roma, arrivo a casa, tocco il muro e riparto, accompagnata da Rico e da una valanghina di fumetti.
L'allestimento dell'area dove si tiene l'evento ci porta via parecchio tempo: ci sono gli scatoloni di fumetti donati da amici e parenti da disporre sul tavolo del baratto, i poster da attaccare ai muri, le sagome dei Peanuts da collocare in giro, insomma, si fan le quattro e non ce ne siamo neanche accorti.
E a questo punto si aprono le danze, o meglio, si aprirebbero se ci fosse qualcuno ma non c'è anima viva! Sento riaffiorare l'ansia degli ultimi giorni, mi torna il mente il sogno fatto un paio di notti fa in cui noi preparavamo tutto ma poi non veniva nessuno. Che fosse profetico? L'Albertini mi ucciderà.

E invece, poco a poco, qualcosa inizia a muoversi; la prima ora in realtà la passiamo chiacchierando, è arrivata anche la Zoffoli col suo carico di Lupo Alberto da donare alla causa e compaiono i primi bambini per partecipare al laboratorio per creare oggetti col sapone, organizzato parallelamente a Baràtt.
Solo verso le 17.30 avvistiamo tra i passanti i primi fumettari, facilmente riconoscibili dagli zainetti o dalle buste di plastica chiaramente carichi di materiale da scambio.
Fortunatamente Rico è dei nostri quindi, oltre a essere ferratissimo sui fumetti che ha donato lui, può anche offrire recensioni su gran parte del materiale disponibile. Io mi pavoneggio lanciando in giro occhiate soddisfatte, come a dire: quello lì, l'esperto, l'ho portato io!
Mi trovo anche spiazzata dalle richieste di alcuni genitori di acquistare i fumetti in mostra; spiego che possiamo solo barattarli perché a fine giornata i fumetti rimasti saranno donati al reparto di pediatria dell'ospedale e vedo qualche faccia di bambino parecchio delusa. Son momenti difficili.
Sono molte le persone che si fermano incuriosite ma, non avendo con sé fumetti da barattare, non è che si possa combinare molto... In diversi chiedono se saremo lì anche il giorno dopo ma mi tocca rispondere picche; provo comunque a suggerire a chi abita nei dintorni di fare un salto a casa a prendere qualche giornaletto ma in realtà non sono molto fiduciosa (andare avanti e indietro con i bambini al seguito è una faticaccia), immaginate quindi la mia faccia quando tre delle famiglie in questione tornano con il loro bel carico di fumetti e ne lasciano addirittura qualcuno in più "per quei bambini in ospedale". Ogni tanto è bello anche sbagliarsi (ogni tanto).
Arrivano le sette di sera e siamo effettivamente distrutti (oltre che quasi ibernati), però tutto sommato contenti (e tonicissimi, o forse è rigor mortis, chissà). Con l'aiuto degli amici sbaracchiamo tutto, sfruttando i nostri baldi uomini (Rico, Tommasoni e Gasperoni) per caricare in macchina gli scatoloni di fumetti che pesano come il piombo ma di cui non possono lamentarsi se non vogliono incrinare irrimediabilmente la loro immagine virile.
Una volta staccati anche i poster e i disegni dalle pareti, restano solo le sagome cartonate dei Peanuts che devono essere collocate in luogo sicuro e asciutto in attesa della restituzione; ci distribuiamo il sagomato carico e si parte.
Immaginatevi un gruppo di loschi figuri, ammantati dell'oscurità della notte e intabarrati fino al naso, che si aggirano per il centro di Cesena portando sotto braccio queste sagomone alte fino a un metro e mezzo.
Lungo la strada abbiamo incrociato molta gente già tirata a balestra e calatissima nel ruolo da sabato sera: donne taccate e paillettate, uomini sempre un po' sottotono (diciamocelo, la moda uomo fa una gran tristezza); i soggetti e le soggette di cui sopra ci squadravano con delle facce che erano uno spettacolo, neanche trasportassimo armi di distruzione di massa
Le persone non sanno come reagire di fronte all'inaspettato.



P.S. Valutazione sintetica post-Baràtt:  tutto considerato direi che sono soddisfatta, non è venuta tantissima gente ma chi è venuto credo tornerà anche l'anno prossimo e alla fine siamo riusciti a raccogliere 220 fumetti e 10 libri per bambini.
P.P.S. I fumetti spaventosi che ha portato Lelli abbiamo pensato di rifilarli a Rico perché in pediatria han già i loro problemi senza che arriviamo noi a terrorizzargli i bambini.

Il Faro di Alessandra

$
0
0
Quella che state per leggere è la rivelazione di un terribile segreto il quale però, come tutti i terribili segreti, se poi non lo riveli a qualcuno che gusto c'è?
Dovete sapere che, da un po' di tempo a questa parte, la tribù a cui appartengo si ritrova puntualmente ogni anno per condividere un momento di comicità irresistibile, una di quelle esperienze che ti riconciliano col mondo e ti permettono di guardare al futuro con rinnovato entusiasmo pensando che, in effetti, a questo punto non si può che migliorare.
Come da tradizione, anche quest'anno ci siamo ritrovati davanti al cinema all'ora X e ci siamo messi in fila per acquistare i biglietti. La scelta del mercoledì era obbligata: va bene la terapia del buonumore ma spendere più di 6,5 euri non era proprio pensabile; per dirla tutta, io e la Piraccia avevamo proposto di aspettare qualche settimana e andare al cinema a Gambettola dove, essendo la pellicola in seconda visione, avremmo pagato solo 3,5 euri, potendo quindi scialacquare il resto in loverie (niente popcorn né patatine però, in casi come questo i dialoghi sono sacri) ma la folla ci aveva ributtato a valle, c'era forte bisogno di comicità, non si poteva attendere oltre.
Ci tengo a precisare che la Piraccia si univa a noi per vivere questa esperienza per la prima volta  ma ho come avuto l'impressione che non fosse particolarmente elettrizzata all'idea. Con il senno di poi mi dico che, forse, avremmo dovuto facilitarle le cose e organizzarci in modo da non lasciarla seduta proprio di fianco alla Zoffoli che notoriamente al cinema passa la metà del tempo a chattare col cellulare e tu nel buio della sala ti ritrovi accanto il Faro di Alessandria (ribattezzato Faro di Alessandra) ma confesso che, presi da mille piccoli imprevisti, non ci abbiamo proprio pensato.

* Prima di procedere, un amichevole avviso a chiunque non abbia ancora visto le varie puntate della saga di Twilight (e per ragioni sue le voglia vedere): non proseguite a meno che non siate come mia mamma che legge prima la fine dei libri così dopo può continuare senza avere l'ansia di sapere come va a finire.
Tornando al film, concordo sul fatto che nella visione di qualsiasi opera lo spettatore gioca un ruolo fondamentale e deve metterci del suo (per esempio lavorando sodo sulla sospensione dell'incredulità); però quando quelli del casting remano contro, è veramente dura.
Facciamo un esempio: dopo averti martellato il cervello fino alla nausea con sta storia che i vampiri sono bellissimi perché devono attrarre le loro prede umane, ti trovi davanti questa neonata che è per metà vampiro e quindi dovrebbe essere perlomeno emi-gnocca, mentre invece pare la figlia dello Scrondo; di fronte a cotanta evidenza i dubbi spuntano come funghi e, dato che mater semper certa, ti scopri a scambiare occhiate significative con i vicini  mentre dal tuo pugno chiuso s'innalzano indice e mignolo nell'universale gesto. Chiaro che, a questo punto, tutta la tensione romantica è andata a farsi benedire e l'unico obiettivo dei minuti successivi è scoprire chi sia il vero padre della creatura, praticamente una puntata di Beautiful.
Riflettendoci però ti rendi conto che non è la prima volta che quelli del cast si fanno una canna, basta pensare al pater familias (Mr Cullen) il quale, a detta della protagonista, è l'uomo più bello mai comparso sul pianeta, peccato che poi abbia la faccia di Peter Facinelli il quale, lasciatemelo dire, sarà pure un bravo attore ma la coppa del super-fustacchione in questo universo non la vincerà mai.
E' in questi casi che si riconosce lo spettatore flessibile, quello che perdona lo scivolone e tiene duro, d'altra parte è anche vero che la riga da qualche parte la devi pur tirare e gli autori in questo caso non ti rendono le cose facili; nell'ultimo episodio infatti la trama prevede l'entrata in scena di molti vampiri accorsi in aiuto dei nostri eroi minacciati dai temibili Volturi (adesso guardate la foto e ditemi se non sembrano i fratelli poveri di Michael Bolton) solo che tra i marmorei soccorritori si annoveravano purtroppo alcuni parenti stretti di Cip e Ciop e a quel punto la sospensione dell'incredulità è ormai salpata a vele spiegate per i mari del Sud. C'erano pure il vampiro Diavolina che sparava fuoco dalle dita e quello che manipolava gli elementi creando pareti d'acqua, pareva quasi uno spin-off di X-Men, ma con dei truccatori un po' così.
Indimenticabile il momento eroticomico, quando l'uomo lupo di punto in bianco e senza alcuna motivazione logica si è tolto la maglietta (per mostrare i pettorali scolpiti, un'ormai consolidata tradizione della saga) e buona parte del pubblico è scoppiata a ridere, come se fosse stata in attesa proprio di quella gag.
Tra gli altri episodi degni di nota ricordiamo il gran finale con lo scontro vampiresco in cui la terra innevata si squarcia e al di sotto compare la lava incandescente, cosa che però non turba più di tanto la neve la quale persiste tenacemente in barba a ogni legge della fisica, mentre  i vampiri sul campo di battaglia cadono come le mosche, questa volta in barba alla trama del libro; per un attimo le quotazioni dello sceneggiatore schizzano alle stelle ma ovviamente non dura e si scopre che trattasi di una visione della solita vampira che vede il futuro ipotetico, un po' come quella volta che Pamela si sveglia e un'intera serie di Dallas finisce giù per lo sciacquone. Il chiaro e distinto movafangulo! che è risuonato in sala avremmo voluto dirlo tutti.
Non riuscendo a farmi coinvolgere dalla trama per i motivi di cui sopra, ho iniziato a pormi tutta una serie di domande a cui non ho trovato risposta: ma se sei un vampiro millenario, i capelli non ti crescono più? In quel caso, se ti mordono che hai un taglio di capelli che fa orrore te lo tieni per l'eternità? Alla faccia della dannazione, passare tutta l'eternità che ne so, col taglio di Dolly Parton. Certo che se vivi per secoli e secoli puoi anche investire qualche anno e andare a fare un corso professionale da parrucchiere così te li sistemi da solo, tanto cos'altro hai da fare?
La conclusione ha riservato anch'essa qualche perla: una volta sconfitti i cattivi il bello e la sua bella si ritrovano da bravi cuoricioni nel luogo romantico per eccellenza della saga: il prato in fiore. Immaginate l'atmosfera soffusa da sogno fatato, loro due soli, occhiate zuccherose in ogni dove. E' a questo punto che lei lo guarda sognante con gli occhi da Bambi e gli dice: "Ti faccio vedere una bella cosa".
Ma era proprio l'unica frase possibile? Nell'intero arsenale della lingua italiana non c'era un'altra opzione? Ditemi voi.


P.S. A riprova del fatto che viviamo in un mondo molto vario, l'Albertini a fine proiezione mi ha rivelato che la sua vicina di posto a un certo punto si è commossa.

Il pitone di jeans e le calze contenitive

$
0
0
Recentemente mi sono resa conto di un cambiamento significativo nel mio modo di affrontare la lettura di una qualsiasi rivista di quelle cosiddette "femminili"; se prima le sfogliavo rilassata, tra un sorso di tè e una fetta di pane e nutella, oggi la situazione è decisamente cambiata.
Mi sento un po' come quei cercatori d'oro che passavano le giornate sulla riva del torrente setacciando il fondale alla ricerca dell'ambita pepita, anche se, innegabilmente, il mio compito è parecchio più facile: sono seduta al caldo e spesso l'oro mi cade in grembo, quasi un dono del cielo.
La pepita di oggi consiste in una pubblicità di jeans che promettono di "modellare e slanciare le forme dei glutei e delle gambe" grazie a "un'esclusiva tecnologia brevettata". C'è pure un disegnino a lato con un sacco di frecce colorate puntate verso l'alto, presumibilmente a indicare l'azione slanciante del magico brevetto. In questo caso però non è la pubblicità in sè a interessarmi (anche se la presenza del pitone di jeans già da sola varrebbe un post intero) quanto piuttosto il messaggio affidatole.
Partiamo con ordine: l'immagine in questione sostanzialmente ci comunica che indossando questi miracolosi e tecnologicissimi pantaloni ci troveremo ad avere i glutei attaccati alla nuca e l'equivalente delle gambe di Barbie.  Se osservate da vicino la foto noterete che i pantaloni hanno un'etichetta rosa proprio là di dietro, nonché una discretissima croce rosa in vita, giusto per non farsi notare.
Mi chiedo se quelli del marketing si siano resi conto del potenziale effetto boomerang della faccenda; sì perché, essendo i pantaloni riconoscibilissimi, appena vedi una tizia inzampata in quei robi, la prima cosa che pensi è che evidentemente l'indossatora (evito indossatrice per ovvi motivi) deve averne proprio bisogno. Sostanzialmente il pantalone Freddy mi diventa l'equivalente di un'enorme freccia al neon con sopra scritto Attenzione caduta glutei. O forse sono troppo catastrofista, chissà. Ai dati vendita l'ardua sentenza.
A questo punto allarghiamo il campo d'indagine e tentiamo di valutare la situazione nel suo complesso: abbiamo il reggiseno con l'imbottitura di silicone così se sei piatta diventi Pamela Anderson, il body che ti fa il vitino di vespa e appiattisce quella pancia che proprio non si guarda, le mutande imbottite se hai il sedere piatto e i pantaloni che tirano su i glutei se hai il perimetro in caduta libera.
Dimenticato niente? Ah, sì, il mantra che ci sgardella gli zebedei da anni: l'importante è accettarsi per come si è.  Auguri.



P.S. Comunque, tornando alla pubblicità, quei pantaloni sembrano dipinti sulla modella tanto sono stretti quindi, non so se realmente tirano su più di un argano come sostiene il fabbricante, però son sicura che alla circolazione non faranno un gran bene; vedo profilarsi all'orizzonte una possibile collaborazione tra Freddy e qualche nota azienda produttrice di calze contenitive.

P.P.S. In dialetto romagnolo, gardella = griglia.

Lo slalom della Volpe

$
0
0
L'altro giorno ero su facebook che navigavo e mi son trovata davanti il link di quel famoso articolo sul femminicidio che sta scatenando enormi polemiche sul web e fuori; non mi riferisco alla lettera affissa da un parroco sulla bacheca della chiesa, bensì all'articolo illuminato a cui essa faceva riferimento.

Senza entrare nei dettagli dell'articolo e della sua logica stringente (vi consiglio di dare un'occhiata a questa perla cliccando sul link qui sopra) vorrei presentarvi, a mero scopo di riflessione, un nuovo scenario che la mia fervida immaginazione ha appena partorito: immaginiamo un tempo futuro, una buia notte di dicembre in cui il Signor Volpe Bruno, autore dell'articolo, mentre torna a casa in macchina viene sorpreso da una navicella spaziale e da essa rapito, come pare capiti a tanti di questi tempi. 
Gli alieni in questione sono turisti spaziali per i quali il nostro pianeta è come Roma per i giapponesi, son venuti a fare un giro, a rilassarsi e divertirsi.
Proprio a questo scopo decidono che il Sig. Volpe Bruno così com'è non gli piace e, grazie ai loro alieni macchinari, procedono a cambiargli sesso senza battere ciglio. Una volta terminata l'operazione, osservando il risultato, pur essendone soddisfatti, non lo sono abbastanza da voler portare a casa questo simpatico souvenir terrestre e quindi, sempre senza battere ciglio, scaricano la nuova arrivata Sig.ra Volpe Bruna a pochi metri dal luogo del rapimento per poi dirigersi verso Saturno, dove pare che l'ultima moda sia fare lo slalom tra gli anelli.
A questo punto la neonata signora torna a casa, comprensibilmente sconvolta dall'evento ma tutto sommato in  buona salute (la medicina aliena sa evidentemente il fatto suo); il problema si pone all'indomani, quando tenta di far capire al mondo che in realtà dentro la signora Bruna c'è lui, Bruno. Peccato che quella terza abbondante di reggiseno deponga a suo sfavore. 
Una volta rassegnatasi al suo nuovo destino, per Volpe Bruna già Volpe Bruno si rende inevitabile un processo di adattamento alla nuova situazione e non è cosa facile: prima di tutto la signora dovrà smettere di credersi autosufficiente poiché, in quanto donna, questo la farebbe cadere nell'arroganza e, non essendo più geneticamente predisposta all'autosufficienza (boia gli alieni e il loro strano senso dell'umorismo), dovrà cercarsi un uomo che provveda a lei; ovvio che a questo scopo dovrà frequentare un corso di formazione per imparare a svolgere le faccende domestiche che, in quanto donna, saranno sua responsabilità.
Ci auguriamo che la signora sia particolarmente esigente nella scelta dei formatori perché la sua stessa sopravvivenza dipenderà dal fatto che la sua performance come donna delle pulizie, cuoca e bambinaia sia ineccepibile, in caso contrario suo marito potrebbe essere costretto a esagerare e, che ne so, ucciderla.
E non dimentichiamo che la nostra Volpe Bruna dovrà anche fare estrema attenzione a ciò che indossa quando mette piede fuori di casa perché, a seconda delle persone che incontrerà, qualcuno potrebbe trovare sconveniente il suo abbigliamento e trovarsi suo malgrado costretto a esagerare, cedendo ai propri comprensibili impulsi, magari stuprandola o uccidendola.
Le auguriamo sinceramente di farcela.

Nonantola e il mucchio selvaggio

$
0
0

Erano le ore diciotto di mercoledì 12 dicembre e mi trovavo in autostrada tra Bologna e Modena alla guida della mia fedele Fiesta, in quel momento strapiena di ukuleli, al punto che un’inchiodata sarebbe stata letale.
Come inizio mi pare abbastanza d’effetto, adesso vediamo di fare un passo indietro e chiarire le cose: stavo facendo da autista a Farnedi che quella sera doveva tenere, presso la fonoteca di Nonantola, un incontro dedicato all’ukulele e aveva quindi deciso di dare fondo alla nostra provvista domestica e portare tutti gli ukuleli in dotazione (a lato solo alcuni esemplari) per permettere ai partecipanti di provare dal vivo lo strumento. A vederci da fuori immagino sembrassimo la macchina di Fantozzi carica per le ferie, mi chiedo ancora come sarebbero andate le cose se ci avesse fermato una pattuglia per un controllo e mi avessero chiesto di aprire il  bagagliaio.

Come sempre il tratto dell’autostrada tra Bologna e Modena era l’equivalente di una zona di guerra e mi aveva già strappato una vasta gamma di brutture, peraltro pienamente giustificate: camion che invadevano corsie senza mai una freccia di preavviso e sfanalatori impazziti che mi alitavano sul collo, ne avevo già maledetti almeno una ventina. Altro che scompensi ormonali, la causa dell’alopecia maschile sono io.
Una volta arrivati a destinazione ed espletate le millemila prove necessarie a interfacciare pc, videoproiettore, sistema audio ecc ecc, Giorgio Casadei (l’organizzatore della serata) ha consegnato a Rico dei documenti da compilare per il Comune e ci ha accompagnato fino a La Smorfia, una pizzeria napoletana dove ho mangiato una delle pizze più buone degli ultimi tempi, arrivando alla conclusione che a me la pizza napoletana piace, se la sanno fare.
Essendo un po’ stretti coi tempi siamo tornati immediatamente alla fonoteca, ri-sfidando il freddo polare della provincia modenese; abbiamo varcato la soglia palesemente compiaciuti della nostra impeccabile puntualità, peccato che i famosi documenti, compilati come richiesto in tutte le loro parti, fossero rimasti allegramente in pizzeria. Farnedi a quel punto doveva rimanere in loco quindi la carne da cannone ero io: mi sono rimessa giaccone, sciarpa, berretto, guanti e grasso di balena e son tornata alla Smorfia dove, grazie a dio, erano pieni di gente e non avevano ancora trovato il tempo di sparecchiare il nostro tavolo, ragion per cui i due preziosissimi fogli erano ancora lì.
Al ritorno in fonoteca ho studiato la situazione e notando che parecchi tra il pubblico avevano portato un loro strumento, sono andata a recuperare l’unico tra gli undici ukuleli che era proprio mio, dicendomi che quello in fondo era un incontro per principianti, ce la potevo fare anch’io.
Ovviamente quando ti senti impedito vuoi dare nell’occhio il meno possibile, quindi mi sono seduta in fondo all’aula e in un angolo, con le spalle coperte, sembravo il tenente Ripley in Alien.
Poco a poco la sala si è riempita e si sono aperte le danze: Farnedi è partito con un breve accenno alla storia dello strumento mostrando video e foto; all’inizio era tutto molto tranquillo, poi quando siamo arrivati al momento della prova pratica ho iniziato un po’ a sudare (c’è del materiale per tesi di laurea in psichiatria). Mentre Enrico e Giorgio giravano per la sala offrendo ukuleli al popolo, un uomo dietro di me se n’è uscito con “No, io no che non conosco gli accordi!”
Fratello! - ho pensato- affrettandomi a dirgli che non si preoccupasse, che anche io ero messa così, che sapevo due accordi in croce, tutto ciò nel tentativo di incoraggiare il mio compagno in difficoltà. Il quale compagno in difficoltà si è fatto spiegare come fare il do e il fa e, dopo neanche un quarto d’ora era là che suonava tremila note al secondo, pareva ne avesse otto di mani! Solo dopo ha lasciato casualmente trapelare che lui non sapeva suonare l’ukulele, però la chitarra sì. Si sarebbe meritato una badilata nella schiena ma ero troppo presa dall'immane sforzo di suonare “la gatta” alla velocità smodata richiesta dal Farnedi quindi ho dovuto soprassedere.
Insomma, per tirare le somme, suonare in gruppo si è rivelato un vero toccasana per l’autostima: se sbagli accordo nel mucchio non si sente, se le dita s’invrucchiano e produci versi indefinibili, anche quello nel mucchio non si nota, se perdi il filo, il mucchio prosegue e alla prima occasione puoi infilarti di nuovo e continuare fingendo che non sia successo niente. Tutto questo sempre a condizione che nel mucchio la percentuale di impediti come te sia limitata. In questo caso lo era.
Alla fine insomma ti trovi a dire “oh, in fondo poi son bravina!” e per un po’ puoi tranquillamente far finta di crederci. Un sentito grazie ai colleghi del mucchio.


P.S. Ecco un esempio di come può essere suonare l’ukulele nel mucchio

P.P.S. Questo articolo è stato scritto per la rubrica L'Angolo dell'Estrema Riluttanza su Stonehand Ex Press




L'unica luce in fondo al tunnel è l'età che avanza

$
0
0
Anche quest'anno, con l'avvicinarsi del periodo natalizio-capodannesco, ho pensato di preparare un post tiramisù da condividere in gennaio con i poveri tapini che si sono trovati loro malgrado intrappolati nelle interminabili cene parenti, magari proprio di fianco alla zia rompipalle o al nonno incazzereccio la cui conversazione spesso si limita a una o più delle seguenti domande (da adattare secondo i casi):
a) Come va con la scuola? (anche se avete trent'anni e magari state facendo un master/dottorato)
a1) Come va col lavoro? (la domanda è sempre la stessa, che abbiate un lavoro o meno)
b) Ce l'hai il/la findanzato/a? (a questi eventi privacy pensano sia il nome di una monovolume)
c) Ma quando ti sposi? (per chi ha risposto sì alla domanda precedente)
d) Ma non è ora di fare un bambino? (per chi ha risposto sì alla domanda precedente)
e) Ma non è ora di fare un altro bambino? (per chi ha risposto sì alla domanda precedente)
E via così all'infinito, tipo purgatorio, l'unica luce in fondo al tunnel è l'età che avanza...(la loro).

Mettere insieme un post del genere è una responsabilità non da poco, quindi nei mesi scorsi ho iniziato a guardarmi intorno alla ricerca di un'ispirazione. Il primo segno dell'austerità dei tempi l'ho notato in una vetrina del centro di Cesena: dove solo un anno fa trionfavano diademi principeschi e collane di perle (vedi A caval donato...basta donar cavalli, grazie!), oggi al cane non è rimasto che un misero fiocco decorativo. L'espressione solare e gioiosa invece è sempre la stessa.
Cerco comunque di mantenere un minimo di ottimismo ricordando che quest'anno, mercé una crisi che tocca quasi tutti, la situazione regali potrebbe essersi rivelata meno drammatica che in passato, anche se è meglio non farsi troppe illusioni, ci sono oggetti assolutamente spaventosi e disponibili al prezzo di pochi euri.

Ho dato un'occhiata alla mia provvista di settimanali per identificare il regalo orrendo definitivo, quello che vi farà sorridere e pensare in effetti poteva andarmi peggio ma, confrontandoli con alcune fotografie scattate negli ultimi tempi, non riesco onestamente a decidere quale tra questi deliziosi oggettini abbia i requisiti per aggiudicarsi la pole position. Visto l'impasse, mi limiterò a presentarveli, lasciando a voi il compito di decidere chi merita la corona. Date un'occhiata e fatemi sapere.


Regalo numero uno: questo come possiamo definirlo, tecno-romantico? Cuoricioni in 3D? 
Come reagisci se il tuo compagno o la tua compagna, che hai sempre reputato persona dotata di buon senso e di gusto perlomeno normale, ti presenta uno di questi cubi con dentro la vostra foto, magari per il vostro anniversario? 
Per me le opzoni sono limitate: 
a) glielo tiri nella schiena, 
b) divorzi subito, adducendo come motivo l'evidente crudeltà psicologica, 
c) facendo uno sforzo sovrumano, ripensi a tutte le cose belle che avete condiviso e abbozzi un sorriso falsissimo, mentre progetti di far cadere sul cristalloso aborto la stufa di ghisa.
A me personalmente ricorda molto la lastra di cristallo in cui vengono imprigionati il Generale Dru-Zod  & Co. alla fine di Superman.


Questo secondo candidato è un esempio lampante di come a volte non ci rendiamo conto delle gemme che abbiamo di fronte. Ho scovato questa meraviglia in un mercatino di beneficenza visitato durante il ponte dell'8 dicembre; in questo caso confesso di essere rimasta abbagliata dallo sfacciato orrore del soprammobile al centro e di non aver quindi immediatamente colto l'enorme potenziale rappresentato dal quadro in alto a sinistra e dal suo implicito messaggio "ricordati che devi morire". 
Tipico errore della novellina. Ma ve lo immaginate che impatto potreste avere regalando a qualcuno il quadro di Frau Blucher?

Chiaro che anche il portacaramelle (o è una salsiera?) con cavallo al galoppo e putti dall'aurea chioma al vento è un'ottima carta, potenziata ulteriormente dalla possibilità di regalare anche il gemello (nella foto qui a fianco), disponibile in una versione decisamente meno austera, più sbarazzina, grazie a una sapiente scelta cromatica.
Non posso fare a meno di chiedermi come sia possibile che all'autore il primo sia piaciuto tanto da decidere di farne un altro.
Ciascuno di questi deliziosi oggettini veniva via a 25 euri, se non ricordo male.
Il prossimo regalo ci arriva direttamente dalle pagine di Grazia e in effetti è molto più sciccoso; le deliziose scarpe qui ritratte (pump le chiamano), in questo sobrio color viola metallizzato che fa tanto messa di mezzanotte, sono finemente decorate da veri e propri specchi, sapientemente posizionati lungo il tacco e sulla zeppa davanti (platform la chiamano). Immagino la scena quando sei in giro con questi tesori ai piedi e i fari di una macchina t'illuminano: incenerimento delle retine di chiunque si trovi a meno di venti metri di distanza. Però è chiaro che risultano utilissime quando hai il dubbio di avere la maledetta foglia d'insalata tra i denti: ti togli una scarpa e, rimanendo atleticamente in bilico sull'altra gamba (tacco permettendo), porti la scarpa alla bocca per toglierti ogni dubbio. Certo anche un comune specchio da borsetta andrebbe bene ma dopo dovresti scervellarti per decidere come spendere quei 795 euri avanzati, troppi pensieri!

A questo punto avrei concluso e vi lascio con quest'ultima immagine che francamente rappresenta per me una sonora sconfitta: quando ho visto questa vetrina mi sono letteralmente mancate le parole, non sono riuscita a dire niente, perché...cosa...niente.
Mi resta un unico rammarico: di fronte al cartello che vantava una maggiore scelta all'interno del negozio, ho avuto paura e non sono entrata. 







P.S. Allora, per quale votate?

Quei giorni un po' così con quella faccia un po' così

$
0
0
Ci sono quei giorni che iniziano un po' così. Non sono quei giorni "no" in cui vorresti tornare a letto, però c'è qualcosa nell'aria che non ti convince, ti aspetti il disastro in ogni momento e quando non succede ne sei quasi delusa perché, se almeno fosse successo, ti saresti messa l'animo in pace e goduta il resto della giornata e invece...

La giornata di cui parlo è stata domenica 20 gennaio; sulla carta doveva essere una domenica normale, forse addirittura un po' sprint perché finalmente eravamo riusciti a trovare un giorno in cui andare a pranzo al Cohiba con la tribù Farnedi, cosa affatto semplice. In origine questo pranzo sarebbe dovuto essere il pranzo della vigilia di Natale ma immaginate lo sconforto (e l'incredulità) quando al telefono ci hanno detto che proprio il 24 dicembre il ristorante chiudeva per ferie. Hai un ristorante e chiudi per ferie proprio sotto le feste? Ma allora non ti vuoi bene!
Questo era quindi il secondo tentativo e tutto stava andando bene, nel senso che almeno stavolta eravamo riusciti a prenotare. La bomba è arrivata verso le dieci di mattina: un sms di Davide annullava tutto causa febbrone della Penelope; a quel punto però io e Rico eravamo già nell'ordine di idee di mangiare fuori, che fare? A entrambi  è venuta la stessa idea: sushi nel ristorante del Punta di Ferro.
In condizioni normali il solo pensiero di entrare in un centro commerciale di domenica, oltretutto in periodo di saldi, mi fa venire la pelle d'oca (io con la folla ho qualche problema), ma questa volta la voglia di mangiare fuori e la brama di sushi erano più forti, ragion per cui abbiamo elaborato un piano: arrivare a ridosso dell'ora di pranzo e scappare a gambe levate appena finito di mangiare. Siamo arrivati verso la mezza (mezzogiorno e mezza, per chi non è un indigeno) ma, avendo fatto colazione alle dieci, non avevamo ancora fame quindi abbiamo ammazzato il tempo facendo un giro di vetrine inclusa,  su richiesta di Rico, una capatina a vedere gli stereo in una zona piena di apparecchi per il dolby surround che sembrava la navicella di un'astronave aliena.
Per me l'unico vero momento di interesse si è presentato in un negozio di scarpe, in mezzo a tacchi himalayani e piogge di strass; mentre Rico mi indicava un paio di stivaletti beige con degli orrendi ricami floreali che sarebbero parsi eccessivi anche a Daisy Duke, ho individuato un paio di scarpe sportive che mi piacevano assai e il cui prezzo era stato drasticamente ridotto, essendoci rimasto solo un numero. Peccato che fosse il 41. La cosa lì per lì mi ha un po' abbattuto però non mi sono data per vinta, in fondo io porto il 39-40, dipende tutto da come calza la scarpa. E infatti, pur essendo in effetti  un po' abbondante, la scarpa era comodissima e c'era pure abbastanza spazio per inserire una di quelle solette pelose caldissime che i miei piedi apprezzano molto di questi tempi. E' pur vero che il motivo tartan dell'interno non mi faceva impazzire ma quello sarebbe rimasto un segreto tra me e i miei calzini quindi...
Una volta provate le scarpe c'è voluto un po' a risistemarmi; non so se capita anche a voi ma spesso i negozi di scarpe hanno ste poltroncine o sti divanetti un po' bombati o sbilenchi perché devono fare arredamento di design, però poi quando cerchi di appoggiarci sopra qualcosa questo cade sempre giù. Quel giorno avevo i guanti, il berretto, la borsa, la sciarpa, insomma ne è nata una prevedibile scena fantozziana, per fortuna con Rico come unico testimone.
Dopo quasi un secolo ero pronta e diretta alla cassa quando l'occhio mi è caduto su un altro paio di scarpe, anch'esse in sconto e molto simili alle prime.
A quel punto dovevo provarle (prima di ogni acquisto devo spazzare via qualsiasi dubbio altrimenti poi ci ripenso mille volte), si è proceduto quindi a una seconda svestizione (Rico immagino volesse suicidarsi), con prova della calzatura nonché sua immediata bocciatura, le prime comunque mi piacevano di più; raggiunta la pace dei sensi e la somma soddisfazione di chi ha attraversato la selva oscura ma almeno ne esce con un paio di scarpe, ho rimesso tutto nella sua scatola e l'ho lasciata lì da una parte (mi servivano entrambe le mani per velocizzare il complicato processo di rivestizione).
Alla cassa, mentre ciucciavano via i soldi dalla mia carta di credito, mi sono accorta che la commessa stava sudando sette camicie  nel tentativo di infilare la scatola delle scarpe in una busta di plastica (una sportina qui da noi) evidentemente troppo piccola. Mossa a compassione le ho detto che non mi serviva la scatola, che poteva mettere direttamente le scarpe nella sportina ma lei ha ribattuto che in quel caso non avrei potuto cambiarle in seguito; essendo però che le avevo già provate entrambe con soddisfazione e che lei le aveva addirittura tirate fuori davanti a me per controllare sotto i miei occhi che entrambe fossero numero 41, le ho ripetuto che andava benissimo senza scatola e finalmente, non senza qualche sforzo, siamo riusciti a uscire dal negozio.
La mia giornata era già un successo e non avevo ancora mangiato il sushi!
Al ristorante ci hanno fatto sedere quasi subito e devo dire che il tavolo era in buona posizione, sì perché il locale era uno di quei posti con un nastro trasportatore su cui scorrono ininterrottamente piattini di cibo, quindi se sei vicino alla cucina hai maggiori probabilità che i piatti  ti arrivino caldi; la cosa è ininfluente nel caso del sushi ma capite anche voi che per la roba fritta è tutto un'altro discorso...
In un locale del genere è assolutamente fondamentale riuscire a resistere alle tentazioni; davanti al vostro piatto scorreranno infatti cibarie di ogni genere (ravioli, noodle, tempura), soprattutto cose che lì per lì hanno un'aspetto succulento ma che sapete benissimo richiederanno una o due ere geologiche per essere digerite, quindi l'unica soluzione è procedere spediti mantendo lo sguardo fisso sull'obiettivo: il sushi. Le uniche deviazioni alla norma concesse sono la zuppa di miso (come antipasto) e, a fine pranzo, qualche pezzo di banana fritta o, in sua assenza, una frittella ripiena di nutella. Anche in questo caso è fondamentale la vicinanza alla cucina, la frittella fredda è come la Morte Nera, basta l'attimo di un morso e la tua vita è finita.

Mentre noi spazzavamo via polpette di riso a ritmo sostenuto, in uno dei tavoli vicini al nostro si sono seduti due signori che avranno avuto una settantina d'anni; li ho guardati incuriosita mentre si facevano spiegare dalla cameriera il funzionamento del ristorante, poi hanno tirato fuori le bacchette di legno dalla custodia e hanno iniziato ad assaggiare alcuni piatti, tenendo le due bacchette unite, a mo' di pala. Confesso che li ho ammirati, non so quanti loro coetanei sarebbero altrettanto curiosi di sperimentare cose nuove e, pensandoci bene, spero proprio di arrivare alla loro età con lo stesso spirito. Chapeau.
Come previsto, la nostra permanenza in loco una volta pranzato è stata molto breve, stavano già calando sul centro commerciale orde di shoppingari agguerriti per cui ci siamo dileguati con un sospiro di sollievo. Tornando a casa Rico si lamentava di aver mangiato troppo, io invece ero molto soddisfatta, non solo per aver finalmente trovato le scarpe che cercavo da un po' di tempo, ma anche per essere riuscita a dire no al terzo pezzo di banana fritta (adesso a ripensarci piango ma il mio fegato ringrazia).
Una volta a casa, mentre Rico di sotto accendeva la stufa, ho portato la sportina con le scarpe in salotto per sistemare i lacci e tagliare le etichette. L'ho aperta e dentro c'erano le scarpe. Le altre scarpe.
Avevo portato alla cassa la scatola con le altre scarpe, quelle che non volevo. E ormai non potevo più cambiarle, non avevo  voluto la scatola.
Ci son quei giorni che iniziano un po' così.





Il bollino se non sei una banana te lo devi guadagnare

$
0
0
In quest'ultimo periodo, causa vicissitudini che non stiamo a spiegare, il numero di concerti che ho visto si è decisamente ridotto e quindi mi sono trovata in più di un'occasione a chiedermi "cosa diavolo posso scrivere per Stonehand questa volta?"  Sì perché, non essendo io una musicista, posso scrivere articoli solo su argomenti musicali e, come dicevamo, non è cosa semplice.
Un paio di mesi fa mi sono trovata alle strette e una sera, mentre ne parlavo con alcuni amici, ho lamentato il fatto che ci fossero fortunati individui che solo per il fatto di avere il bollino da musicista si potevano permettere di scrivere interi articoli sulle ultime trovate idiote degli sceneggiatori di Beautiful (praticamente una fonte d'ispirazione inesauribile), mentre noi del volgo sbollinato eravamo là fuori dove tutto è pianto e stridore di denti.
A quel punto il buon Paco mi ha fatto notare che se scrivi su una rivista di musica, o sei un musicista o scrivi di musica, altrimenti che ci stai a fare? Pur non potendogli dare torto, la cosa non mi consolava, continuavo a rigirarmi il problema tra le meningi alla ricerca di una soluzione finché, all'improvviso, ho avuto una folgorazione: un piano diabolico che avrebbe risolto tutti i miei problemi. Ovviamente la soluzione più semplice sarebbe stata quella di andare a vedere più concerti ma a me i piani troppo semplici non sono mai piaciuti...
Il piano in questione ruotava intorno al concetto di musicista, perché in fondo è solo musicista non bravo musicista, quindi mi son chiesta: come faccio a spacciarmi per musicista e procurarmi il prezioso bollino? Prima di tutto dovevo crearmi un profilo facebook adatto, con qualche foto di me sul palco e magari qualche video farlocco, tanto adesso col computer riescono a far sembrare musica anche il gesso sulla lavagna...
Quindi si trattava di invitare un po' di amici nella nostra cantina, da addobbare all'uopo onde trasformarla in un pub molto alternativo, sistemare qualche sedia e approntare un angolo palco per poi girare un finto video. A quel punto mi sono arenata perché il finto video lo puoi anche girare ma poi devi metterci un finto suono perché se ci mettiamo quello vero della sottoscritta che suona l'ukulele si risvegliano gli zombie...Ok allora suono finto ma come si fa con gli applausi? Mica posso aggiungerli dopo, rischio che sembri una puntata de "Il mio amico Arnold"!
Viste le difficoltà incontrate per la realizzazione della parte video ho deciso di lasciar momentaneamente perdere e concentrarmi invece sulla documentazione fotografica e mi è subito venuto in mente un altro piano altrettanto diabolico: avrei pedinato Farnedi a qualche suo concerto e poi approfittato di una sua pausa bagno (da me prodotta costringendolo a bere litri d'acqua con la scusa che fa bene ai reni) per farmi qualche autoscatto artistico sul palco durante il soundcheck. Però è chiaro che un piano di questo genere richiede tutta una serie di macchinazioni incastrate perfettamente per non far sospettare l'ignaro musico e portare a casa il risultato, francamente il tutto mi avrebbe comportato uno sbattimento eccessivo quindi ho optato per una soluzione più rapida che lì per lì mi è parsa un'idea geniale ma adesso che me la trovo davanti francamente mi viene il dubbio che non risulti proprio credibilissima.



Mi rendo conto che tutto questo macchinare non è sport per principianti, è una gran fatica turlupinare il prossimo e ci vuole un'ottima organizzazione, chissà magari in futuro, quando avrò maturato più esperienza in questo campo farò un altro tentativo, adesso scusatemi, vado a vedere le date dei prossimi concerti in zona.

P.P.S. Questo articolo è stato scritto per la rubrica L'Angolo dell'Estrema Riluttanza su Stonehand Ex Press

Tutto torna, qualche volta anche armato.

$
0
0
Tutto è iniziato la vigilia di Natale; quella sera avevamo invitato un po' di gente per una serata festaiola, quelle tre, quattro ore di libagioni, risate, chiacchiere ecc. C'era però un'incognita non da poco: tra gli intrattenimenti era prevista l'immancabile tombola degli orrori e, come sa chiunque vi abbia partecipato, questo ameno gioco risulta assai poco ameno per coloro che si trovano ad ospitare la soirée dato che quei luridi individui dei partecipanti approfittano di ogni distrazione dei padroni di casa per liberarsi degli orrori vinti, infilandoli in ogni anfratto della casa. E non lo dico per una mia forma di paranoia ma per semplice esperienza, avendo io stessa ingrossato le file dei luridi individui in passate edizioni nascondendo praticamente di tutto in casa altrui, da vecchie parole crociate in un vasino per bambini, fino a  un budda in un presepe. Quindi in effetti quanto mi stava succedendo potremmo semplicemente chiamarlo karma.

Questa volta si erano stabilite regole ferree: non più di due regali orrendi a testa e chi voleva poteva includere un regalo bello, giusto per aggiungere pepe e mistero all'evento.
Prima della festa erano stati fatti annunci roboanti dalla Zoffoli che, a suo dire, aveva scovato una vera e propria perla durante il trasloco; noi inizialmente non eravamo molto ben forniti ma, una visitina a casa degli antenati aveva prodotto risultati al di là di ogni aspettativa per cui la sera in questione si è potuto apportare anche noi un contributo di un certo livello.
Non mi dilungo in descrizioni dell'evento se non per dire che, nonostante il nostro regalo fosse di quelli col botto (un bambolotto Babbo Natale che si illumina e va in monociclo su una corda tesa), nulla ha potuto contro l'attimo di puro terrore che abbiamo vissuto quando gli sfortunati vincitori (il duo Piraccini-Gasperoni) hanno scartato con dita tremanti il regalo messo in palio dalla Zoffoli: una di quelle bambole coi boccoli biondi e il vestito pizzoso che una volta, per dio solo sa quale motivo, si mettevano in bella mostra sui comò delle camere da letto, insana abitudine che ha fortunatamente conosciuto un inevitabile declino negli anni Ottanta, a seguito del film "Chucky - La bambola assassina".
Mentre i due tapini si guardavano in faccia chiedendosi se mai avrebbero visto la prossima alba con quell'orrore in casa, noialtri ci siamo guardati tirando un grosso sospiro di sollievo, in fondo il peggio era passato.
Le settimane successive sono trascorse senza incidenti, salvo qualche velata allusione al "mostro in salotto" da parte della Piraccini e quindi lentamente tutto è tornato alla normalità.

Qualche settimana dopo, tornati a casa da una mattina di commissioni sotto la pioggia, io e Rico ci siamo trovati di fronte a un misterioso pacco e alla nostra vicina, agitatissima, che temeva si trattasse di una non meglio identificata truffa postale, idea inspiegabile se si considera che non le avevano chiesto di pagare alcunché. Abbiamo aperto il pacco con una certa curiosità e immaginate la nostra faccia quando vi abbiamo trovato dentro la boccolosa di cui sopra, con una commovente lettera scritta di suo pugno (vedi testo a lato). Dopo aver reso il dovuto omaggio all'astuto piano dei due lestofanti, ho iniziato a elaborarne uno mio e mi è apparso subito evidente che la naturale prosecuzione del viaggio della plasticosa mostruosità non poteva che essere casa Rinaldi-Tommasoni. Mentre studiavo i dettagli (indirizzo e numero civico dei due da inserire nel pacco) è arrivato però un messaggio della Zoffoli che ci invitava all'inaugurazione della sua nuova casa.
L'universo mi stava mandando un chiaro segnale, sarebbe stato da stolti ignorarlo.
Ho quindi preparato un pacchetto sontuosissimo, usando una delle carte da regalo da mille e una notte che rimediammo quella famosa volta del trasloco della Rini (vedi Il mio regno per il figlio di un vetraio!) e che probabilmente ci dureranno fino al Giorno del Giudizio. Ammetto di aver sogghignato diabolicamente per tutto il tempo.
La sera dell'inaugurazione siamo passati a prendere la Piraccini e Gasperoni, i quali da giorni attendevano una nostra reazione all'invio di Chucky ed erano rimasti  a dir poco perplessi di fronte al nostro silenzio; ovviamente è bastato vedere il pacco e ogni dubbio è scomparso.
Arrivati chez Zoffoli abbiamo consegnato alla padrona di casa il nostro delicato pensiero tra mille cerimonie e ci siamo ampiamente goduti il momento dello spacchettamento.

Morale della favola: a volte ritornano.


Il mantra aiuta ma non snellisce

$
0
0
Nella vita ci sono momenti in cui è importante riuscire a non reagire alle provocazioni, anche a quelle più pesanti. Per far questo si può adottare una semplice strategia: quando ti trovi di fronte a un'assurdità madornale e ti verrebbe da dirne di ogni,  fai un bel respiro e ripetiti come un mantra Calma e serenità, come faceva George Costanza (a lato in un indimenticabile ritratto) in una celebre puntata di Seinfeld.
Però, c'è un però.
Ci sono situazioni in cui il mantra poco può, in cui il tuo animo ribolle e si ribella; il caso a cui mi riferisco è direttamente collegato a una meravigliosa pubblicità di intimo maschile Yamamay che ha come testimonial l'atleta Massimiliano Rosolino.
Quando me la sono trovata davanti un paio di mesi fa su una delle solite riviste da colazione, confesso di aver vacillato: come prima cosa mi sono immaginata il pubblicitario che si chiede "Dove possiamo posizionare il nome del marchio?" e decide di metterlo proprio sul pacco del testimonial, testimonial sulla cui notorietà evidentemente non fanno molto affidamento, visto che hanno sentito il bisogno di specificare il suo nome in alto a destra. Ora, io non sarò un genio del marketing ma, se devi scrivere il nome del testimonial, forse è meglio prenderne un altro...che poi la faccia di Rosolino la conosciamo tutti, è quasi un insulto vedere che ti scrivono come si chiama.
Quando poi ho letto il messaggio della pubblicità mi è caduta tra le mani questa perla: trattasi di intimo snellente il cui rivoluzionario tessuto, cito testualmente,
grazie all'impiego della fibra microincapsulata di Nurel, ricca di principi attivi quali caffeina, retinolo, acidi grassi e vitamina E ... snellisce la silhouette.
Evidentemente chi ha creato questo rivoluzionario tessuto non si lava perché, anche nella fantascientifica ipotesi che il tessuto agisca come un bendaggio estetico (si vede che ho insegnato inglese al corso per estetiste), trasferendo le straordinerie proprietà delle sostanze di cui sopra alla pelle, ecco che col lavaggio dette straordinerie proprietà finiscono giù per lo scarico.

Se proprio siete decisi a tentare questa strada, a mio avviso l'unica soluzione è non lavare mai il tessuto, quindi indossare queste mutande e canottiera per giorni e giorni senza mai lavarle.
Che dire: magari alla fine sarete anche snellissimi, però l'unico che vi si avvicinerà sarà il camion della nettezza urbana in quanto rifiuti umidi.


E un giorno ti svegli e sei il Gatto con gli Stivali

$
0
0
Squilli di trombe, rulli di tamburi, volendo anche colpi di clacson!

Quello di oggi è un giorno che rimarrà scolpito negli annali della storia, sono certa che in un futuro non molto lontano gli storici lo citeranno come esempio degli eventi mirabolanti che preannunciarono la fine del mondo così come lo si conosceva.
Per dirla un po' più in breve, oggi pomeriggio è previsto che io registri dei cori per un disco, ovvero, mi hanno chiesto di fare la corista. E il bello è che non è per un disco di Farnedi, che uno potrebbe pensare che accetti di farmi cantare unicamente onde evitare di morire soffocato da un cuscino mentre dorme, la richiesta mi è arrivata da altri, oltretutto sconosciuti. La cosa ha effettivamente dell'incredibile.

Quando ho letto la mail con cui mi proponevano di cantare, la mia prima, equilibratissima reazione è stata: 
oddionopropriononpossononsonomicacapacecheansiaesemichiedonodifarequalcosaenoncapiscocosafaccio?

Dopo aver ispirato-espirato varie volte di seguito, una volta ri-ossigenato il cervello, ho esaminato ogni singola sfaccettatura dell'incredibile e alla fine ho deciso di buttarmi (tanto se stoni mica ti mettono in galera, spostano semplicemente tutto nel cestino e…plof! Problema risolto). A far pendere l’ago della bilancia è stata la risposta affermativa del prode Farnedi a cui avevo chiesto di accompagnarmi per farmi da interprete italiano-musica. Praticamente andavo con la balia.
 ***
Il fatidico giorno è arrivato e per ora senza troppi traumi; sto trascorrendo la mattinata comodamente seduta su una sedia nella sala di regia mentre Farnedi di sotto registra la voce per una canzone. Son due ore che lavorano e il mio cervello ormai ha abdicato, rifiutando anche solo di guardare tutti quei grafici sul computer, quindi la mente vaga e si distrae come può. Prima sono andata in bagno e ci ho trovato un gatto bianco e grigio acciambellato su un panchetto, il quale mi ha squadrato con tutta la disapprovazione del padrone di casa di fronte a un ospite indesiderato.
Ammetto di essermi trovata un po' in difficoltà, io questa cosa dell'andare in bagno in compagnia proprio non la capisco, era così anche alle superiori, mi ricordo che c'erano tipe che andavano in bagno insieme, intendo proprio dentro al bagno, una sulla tazza e l'altra a chiacchierare del più e del meno, son quelle cose inspiegabili su cui mi arrovello da una vita: è davvero così urgente che non puoi aspettare e parlarne un minuto dopo quando lei esce dal bagno? Poi a me il pensiero di avere qualcuno che mi fissa mentre sono in bagno, zac, si blocca tutto per sempre. Quindi nella mia posizione si trattava di capire se il meccanismo sarebbe scattato anche con lo sguardo felino. E' inutile negarlo, sono stati momenti difficili, mi domandavo: cosa faccio se il gatto m'inibisce? Lo costringo a uscire dal bagno? E se non vuole? Il gigino ha una certa stazza, se gli gira mi massacra! E poi che figura ci faccio se mi metto a fare a botte col gatto a casa di persone appena conosciute?
Col senno di poi, tutti questi interrogativi erano superflui, alla fine ho tentato e tutto è filato liscio, a parte la leggera inquietudine data dal felino sconosciuto che ti fissa restando assolutamente immobile, con quegli occhi da gatto che sembra ti facciano una radiografia.
Dopo pranzo sono andata nella stanza dove si registrava (ovviamente con la farnediana balia al seguito) e devo dire che è stato molto meno drammatico di quanto temessi; prima di tutto in sala regia i due musici ascoltavano la canzone in questione e decidevano quali cori fare, dopodiché Farnedi me li faceva sentire e io, come Portobello, li ripetevo. Essendo poi che, quando andavamo nella sala di registrazione, Matteo dalla regia poteva sentirci ma non vederci, io e Farnedi ci lanciavamo minacce, maledizioni e quant'altro ma tutto rigorosamente in silenzio, onde mantenere un minimo di dignità e non fare la figura dei bambini delle elementari che si tirano le gomme.

Non aggiungo altro, se non che sono tornata a casa stanca ma con un sorriso stampato in faccia che non voleva proprio saperne di sparire. 
Che dire: un piccolo passo per l'umanità, una falcata da Gatto con gli Stivali per la sottoscritta.




P.S. Rileggendo mi rendo conto che, per paturnie mie, non ho menzionato il disco in questione che è Come è profondo il levare, omaggio a Come è profondo il mare di Lucio Dalla. Un grazie a Matteo Romagnoli e alla Garrincha Dischi.

P.P.S. Questo articolo è stato scritto per la rubrica L'Angolo dell'Estrema Riluttanza su Stonehand Ex Press

Un po' di acqua calda non ha mai fatto male a nessuno

$
0
0
Quello che state per leggere è un post di servizio pubblico che chissà, in futuro potrebbe essermi utile per chiedere lo stato di onlus per il blog e magari ottenere dei finanziamenti pubblici da spendere in cene eleganti.
Ho recentemente scoperto che su alcuni canali del digitale terrestre è possibile vedere film e telefilm in lingua originale.
Prima che qualcuno si lanci in sarcastici commenti a base di acqua calda, vorrei sottolineare che io sono povera (o diversamente ricca) e quindi priva di abbonamento sky e dei relativi canali smaltatissimi e super opzionati che ti fanno vedere un programma un'ora dopo, un'ora prima e magari anche al contrario; ho quindi a mia disposizione solo l'umile digitale terrestre, il quale umile digitale terrestre ha però evidentemente fatto passi avanti giganteschi in direzione della diversità linguistica.
L'epocale scoperta è avvenuta in una fredda giornata di qualche settimana fa; ci stavamo procurando la quotidiana dose di buonumore seguendo le impagabili avventure dei cerebrolesi di Beautiful quando Rico, giocando con il telecomando, ha premuto il tasto audio, scaraventandoci senza preavviso in un mare di accenti americani. Una volta riavutoci dallo shock di sentire dialoghi abbastanza verosimili tra i Baldi e i Belli, abbiamo iniziato a provare su tutti i canali per vedere quali avessero la strepitosa opzione, scoprendo subito che sui canali Rai (quelli del servizio pubblico e del canone tv per cui tu abbonato hai un posto in prima fila) non se ne parla, invece sui tre canali Mediaset (Italia 1, Canale 5 e Rete 4), Cielo e Iris ti danno la possibilità di vedere i programmi stranieri (anche se non tutti) nella versione originale, per cui puoi goderti una telenovela in tedesco o un telefilm in spagnolo.
Di fronte a questa straordinaria novità il dubbio che mi attanaglia maggiormente è: perché diavolo non ce lo dicono?
Mi spiego: se tu fai tutto un lavoro per rendere disponibile l'audio originale dei programmi (e suppongo che la cosa richieda anche solo un minimo investimento di tempo e denaro) perché poi non lo comunichi al tuo pubblico? Se non altro per poterti vantare di offrire qualcosa in più rispetto agli altri, sarebbe un'ottima pubblicità. Francamente la logica dietro la scelta del silenzio mi sfugge.
Essendo però che non sono azionista Mediaset e non devo quindi preoccuparmi della condizione mentale di chi gestisce l'intero carrozzone, la cosa mi turba fino a un certo punto e posso godermi la scoperta di questo nuovo mondo senza nubi minacciose all'orizzonte.
L'unico trascurabile cumulo-nembo è che a volte, il desiderio di ascoltare una lingua straniera ti porta a fare cose quantomeno imbarazzanti: giorni fa mi sono ritrovata la sera tardi a guardare un telefilm veramente brutto su dei vampiri adolescenti (molto in voga al momento) semplicemente per il fatto che, complice l'audio pessimo e il fatto che per fare il vampiro gotico evidentemente devi parlare un po' nei pallotti (leggi: come se avessi sempre un pompelmo in bocca), non riuscivo a capire una mazza di quanto dicevano sti tizi e ovviamente la cosa scocciandomi parecchio, non volevo saperne di darmi per vinta.
Mi trovo anche costretta ad ammettere che, se m'imbattessi nuovamente nel citato telefilm, pur scritto con i piedi e con degli attori mono-espressione, lo riguarderei per il solo gusto di riuscire a capire bene le idiozie che si dicono.
Comunque questo è quanto, io il mio servizio pubblico l'ho fatto, adesso resto in attesa dei finanziamenti pubblici; voi controllate di avere il tasto audio sul decoder del digitale, dopodiché buon viaggio, bon voyage o come dir si voglia.

Per il rischio gatto, vedi il punto 1

$
0
0
Ci sono situazioni in cui uno parte con le migliori intenzioni ma poi si lascia prendere la mano dall'entusiasmo e finisce a fare cose che, analizzandole poi a mente fredda, ti viene da guardarti allo specchio alla ricerca delle cicatrici della lobotomia.

Lo scorso ottobre ho letto sul Web un appello, del WWF o simile, sulla necessità di fornire cibo agli uccelli per permettere loro di sopravvivere ai rigori dell'inverno. In realtà io sta cosa la facevo già da tempo, spargendo le briciole raccolte in casa (pane, torte, paste, cocco disidratato, semi) sul balcone sotto forma di pastone con acqua, nella segreta speranza che i passerotti prima o poi ricambiassero offrendosi di confezionarmi un vestito (mi dicono sia tradizione).
Nell'appello però si sottolineava la necessità di integrare il tutto con del grasso vegetale da bruciare per riscaldare il corpo e questo purtroppo complicava le cose. Sì perché tutto quel viavai di pennuti aveva già causato un certo scompiglio sul nostro balcone (leggi cacche ovunque) e io, visto che quest'anno la pioggia non mancava, avevo lasciato alla natura il compito di lavare il balcone senza preoccuparmene troppo, pur sapendo che la mia vicina di casa (notoriamente assai amante della pulizia), non avrebbe visto la cosa di buon occhio, anche perché il passerotto medio non viaggia provvisto di metro da sarto in tasca e può quindi capitare che faccia i suoi bisogni un po' più in là, proprio sul di lei balcone.
Considerato l'effetto potenzialmente devastante di un pastone unto di margarina che finisce sul balcone altrui, ho deciso di spostare la zona cibarie in giardino e, non volendo mettere semplicemente un piatto sul prato (temevo il gatto dei vicini), ho navigato per un po' sul web scoprendo un numero infinito di idee meravigliose per somministrare becchime, alcune molto semplici, altre francamente degne dei migliori piani dell'Artiglio Mascherato dei bei tempi che furono.
Ho scelto il mio progetto e, una volta realizzato, ho appeso il coso all'albero.  Nell'immagine che avevo visto si facevano fuoriuscire dai lati della tanica dei bastoncini di legno come posatoi e, volendo fare tutto come si deve, ho pensato di ovviare alla mancanza di un bastone sostituendolo con un simpatico cucchiaio da cucina di legno, vinto in qualche lotteria e mai usato, principalmente a causa del buco presente nel centro del cucchiaio. Perché si prendono la briga di produrre un cucchiaio e poi ci fanno un buco nel mezzo? Sono certa ci sia un motivo ma non riesco a immaginarmelo (ci ho pensato ma a parte fare le bolle di sapone non mi viene in mente altro).
Torniamo al grande evento: dopo aver appeso l'aborto plasticoso all'albero (da notare i colori naturali che gli permettono di mimetizzarsi perfettamente con l'ambiente circostante) l'ho riempito di pastone e, non contenta, ho appoggiato una mela sul ramo vicino, avendo letto che gli animali in questione necessitano anche frutta fresca (ci mancava solo che gli servisse l'Activia per la naturale regolarità).
Ed eccoci arrivati al momento della verità: per i successivi quattro giorni gli uccelli hanno continuato a far visita al balcone ignorando completamente sia la mela sia l'accrocco appeso al'albero; a quel punto ho pensato che forse non si erano accorti del cibo (non sarà un caso che non esiste l'espressione furbo come un passerotto) e quindi ho sparso briciole sui rami dell'albero intorno all'area X per attirarli verso la meta, col risultato che i pennuti son calati come le cavallette e hanno fatto piazza pulita di tutto lo sparso ben di dio, continuando a ignorare allegramente la mia istallazione artistica con materiali di riciclo. E' stato a quel punto che ho avuto un'esperienza mistica: sono uscita dal mio corpo e mi sono vista mentre spargevo pastone e sistemavo la mela sul ramo: non è stato un bel vedere.
Da quel momento in poi le cose hanno seguito un altro corso:
1) Ho messo un sottovaso di plastica ai piedi dell'albero e l'ho riempito di pastone, fregandomene altamente del rischio gatto: se vuoi la pancia piena te la devi guadagnare, se poi il gatto ti mangia, cosa vuoi, son cose che capitano.
2) Ho preso la mela che era sul ramo, ancora intonsa, e l'ho appoggiata per terra a lato del sottovaso (per i rischi gatto, vedi punto 1).
E come sarà andata secondo voi? Sti stronzi di pennuti han mangiato tutto anche lì dabbasso e la mela in due giorni è stata letteralmente disintegrata, mentre l'aborto plasticoso avviluppato all'albero se ne stava mestamente a guardare.
Che altro dire, da oltre due mesi una ventina di pennuti vari tra cui riconosco, oltre al solito fottio di passerotti, un pettirosso (è quello piccolo ma incazzereccio) e un paio di merli, si fermano alla Trattoria da Estrema per un dejeuner sur l'herbe.
Peccato che la primavera sia ormai alle porte, la trattoria resterà aperta fino a fine marzo, dopodiché ci si rivede in autunno. Buona estate.


P.S. Per chi fosse interessato, avrei un'istallazione artistica in materiale riciclato da piazzare....

Viaggio alla scoperta di TreniTaglia in compagnia di borse Esso e nappine optical

$
0
0
Apprendo con gioia che, anche quest'anno, la  Regione Emilia Romagna ha inflitto a Trenitalia pesanti sanzioni per i millemila disservizi piovuti sugli utenti causa guasti, avverse condizioni meteo, anno bisestile, Marte in Gemelli ecc.
Una parte di queste multe saranno utilizzate per compensare i pendolari, offrendo loro gratuitamente un mese di abbonamento ferroviario. Quando ho letto questa notizia la memoria è immediatamente corsa a un servizio fotografico scoperto su una rivista qualche mese fa e gelosamente conservato in attesa del momento propizio; il servizio in questione porta il seguente sottotitolo:

In viaggio sul Frecciarossa, ad alta velocità, con un look chic e comodo, tra tweed e geometrie. E poi it bag, borse da weekend e accessori da donna d'affari.

(Devo confessare che a me sta cosa delle it bag mi fa molto ridere; la prima volta che ho letto it bag ho pensato borsa esso (deformazione professionale, traduci tutto anche involontariamente) e da quel momento per me it bag è sinonimo di borsa della Esso, quella che ti danno con la raccolta punti. Quando leggo che una borsa Esso costa 6700 euri mi viene spontaneo chiedermi quanti bollini ci vorranno per averla gratis.)

Osservando la prima immagine di questo splendido servizio (vedi sopra) non posso fare a meno di riconoscermi nell'espressione da serial killer della protagonista, è la stessa che indosso io mentre salgo gli ultimi gradini verso il primo binario: per favore, almeno stamattina non fatemi incazzare. Certo, io viaggio un po' più leggera, meno itbag e più libri, acqua e telefono; se mi trovassi a viaggiare come la nostra amica, carica come uno sherpa tibetano, credo che riuscirei ad avere lo stesso sguardo omicida ma senza bisogno del bistrone negli occhi.
Fortunatamente, anche i momenti più difficili hanno fine e la nostra business woman sale finalmente sul treno, dove, una volta sistemate le sue millamila borse Esso, si cambia d'abito indossando la mise da permanenza sul Frecciarossa.
Mi rendo conto che è solo il mio atteggiamento reazionario e conservatore a impedirmi di trovare una logica in un cappotto senza maniche ma noto con una certa soddisfazione che la signora non è nata ieri e indossa un paio di guanti modello polipo che lasciano scoperta solo la zona spalla. Sì perché a volte sali sui treni e ti trovi catapultato in Siberia quindi se hai in programma una riunione d'affari ti conviene coprirti, altrimenti magari a destinazione ci arrivi ma poi ti trovi in una sala piena di uomini e donne d'affari pronti ad affareggiare con te e invece ti tocca correre in bagno. Se vogliamo per forza vederne il lato positivo, sicuramente uscirai dalla toilette più magra.
Il momento dell'arrivo si avvicina, quindi la signora nella foto qui sotto sceglie la mise-discesa dal treno; osservando quel body di pizzo scollato fino all'ombelico, ne deduco che ha scelto l'opzione dimagrire velocemente senza spendere una lira di cui parlavo prima; mi chiedo se Trenitalia abbia mai valutato la possibilità di sfruttare questo elemento per farsi pubblicità: TreniTaglia, passa un paio d'ore con noi e perderai una taglia. Di questi tempi, con l'estate che si avvicina, potrebbe avere successo.
Tornando alla nostra business woman, spero di non trovarmi mai in una situazione del genere: costretta a decidere se indossare il mocassino argento o quello optical con le nappine; e d'altra parte, è uno sporco lavoro ma qualcuno deve pur farlo.

E così, passo passo, siamo arrivati alla fine della storia; purtroppo l'ultima immagine del servizio non ci rassicura circa la vitalità dei neuroni della nostra amica, che persiste nell'indossare capi senza maniche, va bene voler dimagrire ma ricordiamoci che la polmonite è dietro l'angolo e, anche nel caso di un semplice raffreddore forte, ti viene il naso rosso e parli come l'orso Yogi e allora addio al look chic del sottotitolo.
Per coloro che si chiedessero il perché dell'espressione Che cavolo stai dicendo Willis? della signora, la risposta si trova leggendo la didascalia a lato dell'immagine:
Ore 9.30 - Arrivo alla stazione di Milano, in perfetto orario.








T&F - Un'immagine vale mille parole

$
0
0

Non credo che riuscirò più a guardare i post-it con gli stessi occhi di prima...

La calata dei Mori è comunque un pareggio

$
0
0
Arriva il venerdì sera e, incredibilmente, abbiamo già dei programmi: stasera la meta è l'Ex-Macello di Gambettola dove l'associazione TreeSessanta ha organizzato un concerto del Moro (inspiegabilmente I Mori sulla locandina dell'evento).
Il concerto inizia come sempre in modo un po' burrascoso: la Clodia per documentare l'evento ti fotografa col flash da venti cm di distanza bruciandoti la retina, l'Ale controlla Facebook, chatta e commenta ogni tre per due, insomma come fai a non distrarti? Dopo un po' le cose si tranquillizzano, fortunatamente prima che Farnedi decida di alzarsi e fare una strage. Chi segue la sua rubrica su Stonehand non si sorprenderà scoprendo che il Moro, da vero lord qual è, non dà segno di notare la baraonda sotto il palco. Italia-Regno Unito: 0-1.
Noto che sul palco c'è un gran via vai di bassi, prima il Moro cambia la chitarra col basso, poi tocca a Gasperoni, passo passo se lo passano tutti, praticamente sto basso arancione dilaga. Peccato quel colore che fa un po' a pugni con quello degli altri strumenti, chissà se si può riverniciare come le macchine?

Osservando il Moro che suona noto qualcosa che mi getta nello sconforto, come si fa a suonare in un gruppo se non puoi fidarti completamente dei suoi membri? Qualche buontempone deve aver riempito di roba la chitarra del Moro, basta guardarlo e si vede benissimo, il buco è pieno! Saranno scherzi da fare? Ovvio che è opera di uno del gruppo, chi altro può ravanare intorno agli strumenti senza destare sospetti? Ma possibile che nessuno dica niente? Se me ne sono accorta io...
Farnedi è lontano quindi non posso contattarlo, provo a chiedere alla Piraccini se secondo lei è il caso di avvisare il Moro che gli han riempito la chitarra e, quando lei mi risponde di no, non ci vuole molto a dedurre che la bravata è opera di quel chitarrista di Gasperoni e che lei da brava moglie non vuole smascherarlo. L'abilità del Moro è resa ancora più evidente dal fatto che, seppur ignaro del colpo gobbo realizzato ai suoi danni , il nostro riesce comunque a suonare la chitarra imbottita senza fare una piega.
A fine concerto mi avvicino a Gasperoni e gli ripeto la domanda già fatta a sua moglie, nel chiaro tentativo di smascherarlo, ma lui si limita a spalancare gli occhi e farsi una risata, un sangue freddo che mi fa pensare che non sia la prima volta che gioca tiri del genere.

Verso metà concerto la natura chiama e mi tocca andare in bagno; noto con sorpresa (nei bagni di certi locali devi entrare col coltello tra i denti e il napalm) che il bagno è estremamente pulito e pure fenestrato. L'unico problema è che la citata  finestra è spalancata e, come ho già accennato in passato, io in certe occasioni ho bisogno di privacy (vedi E un giorno ti svegli e sei il Gatto con gli Stivali). Provo a chiuderla ma la maledetta ha uno di quei vecchi chiavistelli che ovviamente fa una gran fatica a scorrere per cui devo fare parecchio forza ma alla fine con uno scatto secco si chiude. Una volta espletate le prevedibili formalità, tento di riaprire la finestra ed è solo una volta trionfato che mi cade l'occhio sulla mano e noto che sanguina. Curioso. Mi sono graffiata la mano e pare anche parecchio perché il rosso è in aumento. Che fare? Non essendo solita portare cerotti in tasca mi tocca fare con quello che c'è: afferro una salvietta di quelle grigie per asciugarsi le mani e me la avvolgo intorno al dito. Problema risolto. Torno al mio posto facendo finta di niente ma il mio dito, avvolto in quel lenzuolo grigio, pare uno di quei wurstel tedeschi un po' bianchini che ogni tanto trovi alla Coop quando c'è il mese Oktoberfest. Per fortuna stasera indosso una maglia grigia, quindi riesco a mantenere comunque una certa coerenza stilistica.

Una volta concluso il concerto i presenti poco a poco si dileguano mentre noi chiacchieriamo; nel mezzo del vociare si sentono chiaramente la Clodia e Tommasoni dichiarare:"Noi andiamo!" ed è a partire da quel momento che ha inizio una mezz'ora degna delle migliori farse, trenta allegri minuti in cui a turno ciascuno di noi pronuncerà la medesima frase senza però arrivare mai a varcare la soglia; a un certo punto eravamo finalmente tutti pronti a uscire ma contandoci abbiamo scoperto che mancava  Tommasoni (quello che, da forestiero inglese, si lamenta sempre che voi italiani dite:"Io vado!" e poi non vi schiodate per almeno due ore!)
Una rapida perlustrazione della sala ci ha permesso di individuarlo in vivace conversazione e senza un pensiero al mondo. Ovvio che la cosa avrà degli strascichi e per molto tempo a venire; non dico che sarà inciso sulla sua lapide.ma...quasi.
Bilancio complessivo della serata:
Italia-Regno Unito 1 - 1.



P.SQuesto articolo è stato scritto per la rubrica L'Angolo dell'Estrema Riluttanza su Stonehand Ex Press

Violata: questa sì che sarebbe una liberazione!

$
0
0
Questo post è uno di quelli che ti escono proprio dalle dita, che basta mettersi davanti al computer, ripensare a quello che hai visto e i polpastrelli fan tutto da soli.
Il commento di oggi riguarda un'opera d'arte recentemente salita agli onori della cronaca, mi riferisco alla statua (la vedete nell'immagine qui a fianco) che la commissione per le pari opportunità del comune di Ancona ha collocato in città e che, a sentir loro, dovrebbe essere un monumento universale contro la violenza nei confronti delle donne. 
Quando ho visto la statua per la prima volta la mia prima reazione è stata piuttosto neutra, mi pareva un brutto coso ma l'ho semplicemente catalogato come una delle tante opere d'arte che vedi in giro e che ti auguri di non dover più vedere, nient'altro (oddio, nella tua ignoranza artistica il pensiero quell'obrobrio l'han pagato con le mie tasse, da domani si fa tutto in nero, ti viene, poi però subentra la rassegnazione, sospiri e tiri dritto). 

Qualche secondo dopo aver visto la foto della statua ho letto il titolo dell'opera e la  forza della mia reazione mi ha colto totalmente alla sprovvista.
Violata si chiama, quella statua. 
L'ho letto ed è stato come se qualcuno mi stampasse in faccia uno di quegli schiaffi dati a mano aperta, quelli che dopo la faccia ti brucia.

In molti hanno già spiegato con estrema chiarezza i motivi per cui questa statua manda un messaggio distorto, fuorviante, addirittura contrario a quello che sarebbe il dichiarato intento dell'artista e dei committenti; rimane comunque un interrogativo: cosa pensavano quelli che l'hanno scelta?
Non considero l'artista che l'ha creata perché sappiamo già che la scultura era nata con un altro titolo: donna con borsa, ma vorrei capire quelli che hanno guardato la statua e hanno detto sì. 
Voglio partire dal presupposto che la decisione di scegliere questa statua sia stata presa in buona fede, che queste persone credessero davvero di fare qualcosa di buono. Ma allora, come si spiega? Tento una lettura, ovviamente mia, della situazione, pur sapendo che essendo personale sarà inevitabilmente parziale e limitata.
Quello della violenza non è un argomento facile da affrontare, per nessuno. Fa paura. E allora, magari inconsciamente, si sceglie la via più facile, quella che non ci costringe a metterci in discussione, ad affrontare verità scomode. In questo caso la via più facile è ricorrere all'immagine di una donna vittima di una violenza sessuale avvenuta per strada (ad opera ovviamente di uno sconosciuto), così possiamo andare a dormire tranquilli e fingere che le cose stiano così, nonostante i dati ci dicano chiaramente che la stragrande maggioranza delle violenze (fisiche, psicologiche,sessuali ecc) contro le donne avviene tra le mura di casa e gli uomini che usano violenza sono spesso mariti, padri, fratelli. Ma come fai a guardarti intorno e pensare che forse qualcuno tra i tuoi parenti, amici, colleghi, questa sera andrà a casa e picchierà sua moglie, la sua compagna o magari sua figlia? 
Meglio far finta di niente.
E così la statua diventa la statua di una donna fisicamente perfetta, senza alcun segno di sofferenza fisica, neanche un livido, come se in fondo non fosse niente di così grave, ma solo un incidente di percorso, qualcosa che ti lasci dietro le spalle e non ci pensi più. E ancora, quella donna ha uno sguardo fiero, indomabile, il portamento eretto, è una che si rialza e va avanti; in questo modo siamo tutti a posto, perché in fondo quella donna lì non ha mica bisogno del tuo aiuto, e allora puoi continuare tranquillamente a guardare dall'altra parte, a farti i fatti tuoi, fingendo che non sia successo nulla, metti una bella statuina e sei a posto. E poi il tocco finale, quel colore assurdo, irreale, che ce la fa sentire distante, quasi un'aliena. Quella lì non ha niente a che fare con me.
Anche il titolo, Violata, dà quella bella patina di romanzato che offusca la realtà e rende tutto più accettabile. Pensate come sarebbe diverso se chiamassimo le cose col loro nome, ma allora il nome della statua sarebbe Stuprata, non Violata. Troppo diretto, troppo vero. Troppo dolore.



P.S. Premetto che quest'ultimo commento non è una provocazione fine a se stessa, è solo un tentativo di far arrivare lo stesso messaggio in un altro modo: provate a pensare a come reagireste se in una delle piazze della vostra città mettessero la statua in bronzo di un uomo seminudo, coi vestiti brandelli ma con le spalle dritte e un'espressione fiera, e poi sotto ci scrivessero: Sodomizzato.

P.P.S Per chi vuole firmare la petizione online per chiedere la ricollocazione della statua.



Come osa quella sgorfignaccola!

$
0
0
Convegno sulla moda, tutti i partecipanti hanno look studiatissimi fin nei minimi dettagli, neanche un capello fuori posto; viene il dubbio che insieme al cartellino col nome ciascuno riceva un un metro a nastro con cui ogni tanto può andare a controllarsi in bagno.
In mezzo a tutta questa sciccheria ci siamo io e Ilaria che, lo confesso, il metro a nastro in cabina non ce l'abbiamo (forse ce l'hanno i tecnici ma per altri motivi).
Il pensiero che proprio per questo ci abbiano relegato dietro al palco, nascoste da un parete rossa, per un attimo mi sfiora, ma in realtà avendo già lavorato in questa sala so che la posizione della cabina è sempre questa, non c'è dolo (e almeno dal di qua posso mandare accidenti ai relatori senza che nessuno mi legga il labiale).
Prima dell'inizio del convegno vado alla toilette  (come i bambini prima di un viaggio in macchina) e ci trovo una tipa che si sta meticolosamente ristrutturando davanti allo specchio a figura intera. Sentendomi arrivare ella alza delicatamente lo sguardo e fa una bella carrellata sulla mia personcina, dalla testa ai piedi, una di
quelle occhiate che finora avevo solo sentito descrivere, il cosiddetto "once over", per poi fissarmi schifata come se fossi un randagio bagnato penetrato con l'inganno nella sua cabina armadio.
Ok, se vogliamo essere sinceri, questa mattina non sfoggio proprio uno dei miei migliori look; ieri sera ho scoperto che oggi a Firenze la massima prevista sarebbe stata 27 gradi, praticamente l'Africa, peccato che in questi giorni la temperatura alle ore 6.00 (quando i tapini come me escono di casa) fosse intorno ai 12 gradi. Inevitabile il look cipolla leggera per conciliare Africa e Siberia. A questo aggiungiamo che il cambio dell'armadio è ancora di là da venire per cui per cercare qualcosa di più primaverile avrei dovuto gettarmi, novella Indiana Jones, in una disperata ricerca tra le scatole dell'armadio.
Ho preferito vivere.
Dopo un primo inevitabile momento di sacrosanta indignazione, come osa quella sgorfignaccola?!, mi trovo ad ammettere che probabilmente, per una persona la cui vita ruota intorno al mondo della moda, vedere me vestita un po' alla come capita possa causare forti fitte allo stomaco, fitte in fondo non molto diverse da quelle che avverto io quando qualcuno parla inglese pronunciando alla boia (mio babbo lo fa spesso, sospetto solo per darmi fastidio).
Ovviamente mi rendo conto che non è umanamente possibile che tutti abbiano una pronuncia da regina Elisabetta, che ci sono tante altre cose di cui io sono totalmente ignorante, però è un riflesso involontario il mio, quella fitta allo stomaco che ti strizza l'intestino quando l'avvocato al microfono dice As a career I'm a liar.
Spezziamo quindi una lancia anche per la sgorfignaccola, in fondo tutto il mondo è paese.
Vestito più o meno bene.

Io faccio "l'idraulico"

$
0
0
Il mese scorso, per l'esattezza l'undici aprile, scorrendo le notizie su Facebook, ho trovato un articolo del quotidiano online "Cesena Today", accompagnato da un commento: Coppia un po' particolare di Cesena si sposerà in Canada!
Inevitabile chiedersi come sia una coppia un po' particolare di questi tempi, e altrettanto inevitabile cliccare per saperne di più (sono caduta come un paganello nella rete del titolaio). Leggendo scopro che questa coppia un po' particolare sono in realtà due donne che convivono da tempo e hanno deciso di sposarsi; non potendo farlo qui hanno scelto di andare in Canada. 
La cosa in sé non farebbe notizia, se non fosse che la riporta un quotidiano di provincia e, come si sa, in provincia tutto quello che esula da criteri prestabiliti ai tempi delle guerre puniche, semplicemente non esiste. Non è che sia criticato, condannato ecc, si fa proprio finta di niente; di conseguenza questo articolo è già di per sé una novità, è la notizia a fare notizia.

Il giornalista inizia precisando che le due cittadine in questione non hanno fatto nulla di male (viene da chiedersi perché abbia sentito la necessità di precisarlo, non è che sul giornale ci vanno solo i criminali), per poi proseguire specificando che abitano e lavorano a Cesena da anni e sono una coppia di fatto: convivono, “si amano” e vorrebbero sposarsi come tutte le coppie. Ora, non vorrei far sempre la figura della criticona rompiballe, però a me quelle virgolette attorno a si amano danno proprio fastidio, in fondo amarsi è come essere credente, tifare Juve, fare l'idraulico ecc, o lo fai o non lo fai. 
Immaginate per un attimo di assistere a questo dialogo:
A: Tu che mestiere fai? 
B: Io faccio "l'idraulico"
Voi cosa pensereste? A me verrebbe subito da sospettare che questo in realtà faccia l'attore, oppure che come idraulico sia negato e lo sappia.

Concludo con un dettaglio splendido di cui però non posso prendermi il merito, non me ne sono accorta io ma un altro lettore che ha così commentato l'articolo: ...azz che spalle! 

Incuriosita ho dato un'occhiata alla foto in piccolo che accompagnava l'articolo (vedi immagine a lato) e che ritraeva chiaramente due uomini, uno dei quali era oltretutto piuttosto nerboruto. Il resto son solo domande.

Viewing all 184 articles
Browse latest View live