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Channel: a mali estremi Estrema Riluttanza
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Si va là dove nessuno sano di mente andrebbe.

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Bene, la vacanza  l'abbiamo fatta, cazzeggiare abbiamo cazzeggiato, adesso tocca tornare al lavoro.
Ovvio che al momento la voglia di lavorare è praticamente inesistente, quindi ho deciso di suddividere il resoconto delle ferie in tanti piccoli post, così il rientro sarà meno traumatico.
Cominciamo col tracciare un quadro generale della situazione: fedeli alla nostra tipologia di ferie, si va là dove nessuno sano di mente andrebbe, quest'anno abbiamo prenotato in quel di Ibiza; non che ci sia niente di strano nel voler andare a Ibiza, è solo che l'isola è rinomata principalmente per due cose: le sue spiagge e acque cristalline da una parte, e la musica elettronica e la disco-movida dall'altra. Ogni anno stramilioni di giovani turisti accorrono da tutto il mondo a rosolarsi al sole per poi passare la nottata in uno dei millemila locali dell'isola cullandosi nell'Unz Unz del momento.
Questa la situazione.
E poi ci sono io, che sospetto da tempo di essere fotofobica o semi-vampiro (quello col sole in faccia è un rapporto difficile) e, per quanto riguarda gli assembramenti di gente: folla oceanica a destra, Estrema di corsa a sinistra. Foam party? Anche no.

In realtà le cose erano decisamente compensate dal fatto che, essendo l'inizio di maggio, i turisti erano ancora pochi e molti locali aprivano proprio in quei giorni quindi almeno il rischio folla oceanica l'avevamo eliminato e in più, grazie a un andamento meteorologico assolutamente folle, pur essendoci il sole tirava vento e faceva freschino quindi, a parte qualche turista chiaramente eschimese, il mare stava di là e noi di qua a passeggiare, leggere e assaggiare tapas.

Come primo post vacanziero direi che siamo a posto, un'idea ve la siete fatta; mi limito ad aggiungere che, a parte il diluvio che ci ha accolto al nostro sbarco dall'aereo (ovviamente l'ombrello era rimasto a casa), la pioggia non si è più fatta vedere se non una sera a tradimento quando ancora ci toccavano quei due chilometrini per arrivare a casa.
Tutto sommato, nonostante le maledizioni lanciate quel giorno mentre si correva da sotto un balcone a un altro, direi che siamo stati fortunati.

P.S. Mi chiedevo come fosse la logistica quando vai a un foam party: torni in albergo pieno di schiuma tipo Yeti? Non si rischia di scivolare e rompersi l'osso del collo? Poi se devono caricarti sull'ambulanza è un casino, scivoli via come un'anguilla. Mi rileggo e il primo pensiero è: ma quanto sono vecchia?

P.P.S. Nei prossimi episodi altre succose rivelazioni: uomini Dalek, uomini senza un braccio e zombie che parlano spagnolo.







Ibiza a spizzichi e bocconi - parte 1

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Riprendiamo il discorso vacanze da dove l'avevamo lasciato (per chi volesse leggere il primo vero post sull'argomento: Si va là dove nessuno sano di mente andrebbe): ci troviamo in quel di Ibiza all'inizio di maggio.

Ci tengo a precisare che in quelle tre settimane mi sono divertita assai, lo dico adesso perché, dopo quello che leggerete qui sotto, sarete portati a dubitarne ma mi appello all'ormai logoro i gusti sono gusti.


1) Il Viaggio - l'unica cosa degna di nota del viaggio in aereo è il fatto che siamo partiti in ritardo; sentendo la
voce che annunciava il ritardo, il sentimento più diffuso è stato il sollievo perché, almeno per questa volta, ci saremmo risparmiati di sentire l'immancabile trombetta della ryanair che suona allegramente scassandoti gli zebedei dopo ogni atterraggio, suppongo per festeggiare  il fatto di non esserci sfracellati tutti.

2) L'Alloggio - devo ammettere che abbiamo avuto un colpo fortuna di proporzioni cosmiche: quando siamo arrivati, l'appartamento che volevano assegnarci non era ancora stato pulito, quindi ce ne hanno dato uno di categoria superiore, con una vista meravigliosa sul mare al tramonto e, cosa più importante, con una cucina fornita di tutto e di più, dal bollitore al tostapane, dal microonde al forno tradizionale. E tra le posate c'erano pure dei coltelli che tagliavano, roba da svenire.
Tra i contro di questi posti c'è il fatto che hanno la malsana abitudine di volere fare le pulizie tutti i giorni, senza considerare minimamente che tu sei in ferie e vorresti dormire fino a tardi, quindi ti trovi nella posizione assurda di doverti scusare con la signora delle pulizie che non può pulire perché sono le dieci e tu sei ancora in pigiama intenta a fare colazione. Sembra di essere tornati alle superiori quando facevi tardi il sabato sera e la domenica mattina ti beccavi l'inevitabile ramanzina.
E poi viene anche da chiedersi: ma c'è proprio tutta sta necessità di pulire ogni giorno? Quanto pensano che potremo sporcare in 24 ore, cosa siamo Pig Pen?
3) I Dintorni - il nostro residence trovavasi fuori San Antoni, una zona che potremmo definire, con un eufemismo, brutta come un colpo.
L'area brulicava di turisti inglesi e nordeuropei, cosa che abbiamo intuito facilmente quando al bar, ordinando una caña(generalmente un bicchiere di birra grande come un nostro bicchiere di vino da osteria) ci hanno portato l'equivalente di una birra da 33 cl. 
Quando poi andavi a fare una passeggiata sul lungomare, ti imbattevi regolarmente nel nordico e incauto turista addormentatosi sotto il sole senza protezione, parevano tutti dei biscotti Ringo, però con la fragola al posto del cioccolato.

4) Trasporti - ci siamo avvalsi sempre del trasporto pubblico che ci ha portato ovunque senza grossi problemi, l'unica pecca era che non si riusciva a capire il sistema da seguire: in alcuni casi pagavi sul bus, in altri invece dovevi andare in biglietteria e, ovviamente, le prime volte l'abbiamo scoperto (insieme a tanti altri compagni di sventura) solo dopo aver passato mezz'ora in fila indiana in attesa del bus. Volavano talmente tante madonne che serviva un controllore di volo.
La cosa bella è che, non so se per merito degli isolani o di tutti quei turisti nordici, la fila era sempre rispettata, salvo da qualche baluba, ovviamente italiano che cercava di passare avanti. Una volta due facce di bronzo paurose hanno tentato di saltarsi almeno venti persone, noi inclusi; a quel punto mi sono girata verso Enrico e, fingendo di non aver capito che erano italiane, sono sbottata "Se ste due provano a passarmi davanti non ho nessun problema a dirgliene quattro". Le due tizie hanno saggiamente deciso di desistere.


Per il momento è tutto, mi congedo con un ultimo dettaglio: avendo il forno in appartamento non siamo riusciti a resistere alla tentazione di farci la pizza e devo dire che, pur privi di strumenti di misurazione e facendo quindi le dosi un po' alla boia, siamo riusciti a produrre una pizza che, non avrebbe vinto alcun concorso, ma faceva  comunque il suo dovere e la farcitura a base di fuet (salame catalano) e olive nere si faceva voler bene.

Il resto alla prossima puntata. ¡Hasta pronto!

Ibiza sempre a spizzichi e a bocconi - parte 3

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Riprendiamo la sintesi delle vacanze da dove avevamo interrotto; ci tengo a precisare che, comunque vadano le cose, questo sarà l'ultimo post sulla vacanza, ce ne sono altri che premono per essere scritti.

5) Bar - poco a poco abbiamo trovato dei bar dove, come da spagnola consuetudine, facevano anche da mangiare e ce ne siamo serviti con entusiasmo provando un po' di tutto, dalle zuppe coi legumi alle alici marinate, fino alle mie adorate albóndigas (le polpette, preparate in cento modi diversi). Unica perplessità, la paella che ci hanno servito con sopra un pezzo di granchio gigante; era buonissima ma quei robi là in cima sembravano le dita di Alien
Un amichevole avvertimento: la salsa alioli è buonissima, soprattutto se fatta in casa, però è anche molto fedele, dopo averla mangiata quel retrogusto di aglio rimane con voi per tutto il giorno (e anche la notte). Lettore avvisato... 
Consiglio anche i panini imbottiti, li sanno fare con maestria in molti posti, particolarmente valido quello con prosciutto cotto, brie e peperoni verdi grigliati.
Tornando alle nostre avventure, quella mattina in centro a Ibiza, dopo aver spazzato via la famosa paella Alien alla trattoria Can Costa,  Rico ha chiesto:"Avete il caffè?" Risposta del proprietario: "Non lavoro mica in un bar!"

6) Siamo andati al cinema varie volte, vedendo almeno in un caso una boiata pazzesca (The Host), con il preciso intento di fare esercizio con lo spagnolo e abbiamo avuto la bella sorpresa di trovare a San Antoni un cinema vecchio stile, con tanto di sipario che si apre a inizio proiezione e un'atmosfera che quei casermoni dei cinema moderni se la sognano. Ammetto però che gli zombie che parlano spagnolo mi fanno uno strano effetto. Per vivere appieno l'esperienza del cinema abbiamo comprato le golosinas, le loverie da cinema. Ho sempre preso anche un generoso bicchiere di pop corn (anche solo per il gusto di dire la parola palomitas), però quello dovevamo finirlo tutto prima dell'inizio del film altrimenti, con tutto quello scrocchiare si rischiava di non capire una mazza.

7) L'ultima settimana abbiamo deciso di trasferirci in un altro appartamento più vicino al centro di Ibiza e questa volta la sorte non ci è stata molto amica; avevamo comunque una bella vista mare ma l'appartamento disponeva di cucina come quella della casa di Barbie, era per bellezza più che da usare. Ce ne siamo accorti la mattina al momento della colazione quando, volendo far bollire l'acqua per il tè abbiamo cercato un bricco ma, non trovando altro, ci è toccato usare la pentola per la pasta, quella da cinque litri. Le bustine del tè han fatto una regata.
Nonostante l'appartamento non fosse il massimo, la compagnia era però di alto livello: birri nerboruti e tatuati infestavano la zona piscina, mettendo in mostra i muscoli e sedendo in pose plastiche, ci mancava solo che facessero la ruota. Mi piacerebbe poter abbattere il vecchio stereotipo del tizio muscoloso senza cervello, però ammetto che la realtà non sempre aiuta. Proprio in quei giorni mi è capitato sotto gli occhi uno di questi campioni, il quale è arrivato in piscina in costume e ciabatte e, sedendosi sul bordo, ha messo a mollo le gambe senza farsi previamente la doccia, come richiesto da regolamento. Zonzo! - penserete voi. E invece quest'uomo è andato ben oltre il semplice concetto del lurido zotico che non si lava prima di entrare in zona comune: quando si è calato nelle celesti acque della piscina, i suoi delicati piedini calzavano ancora le ciabatte! Gli ha dato una bella sciacquatina, poi si è alzato e ha iniziato a fare flessioni, addominali e tutto il repertorio Rocky. 

8) Concludiamo con un sondaggio.
Sento spesso dire che un'immagine vale mille parole; per testare questa ipotesi vi chiedo cortesemente di osservare la foto dei cartelli posti a lato dell'ascensore in quel simpaticissimo albergo. Vorrei che vi concentraste sull'immagine in alto a destra, da me ribattezzata l'uomo barrato. La domanda su cui ci siamo arrovellati per giorni è la seguente: che vol dì? 
Ovviamente in una settimana di permanenza di ipotesi ne sono nate molte, però sono generosa e ve ne elenco solo qualcuna, fatemi sapere per cosa votate:
1) vietato l'ingresso agli uomini senza un braccio,
3) chi fa casino la sera ci seghiamo un braccio.
4) chi entra nell'ascensore verrà usato come valletto nel numero che chiude lo spettacolo di animazione serale del mago Chorizo in cui sega a metà una bara con cavia umana dentro.





Gli dei sorridono sulla Notturna di San Giovanni, io meno.

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Questo è un post assolutamente e innegabilmente sportivo, una novità per il mio blog dove siffatto argomento non è molto comune. A volte però succede l'inaspettato, come ad esempio che io decida di partecipare a una corsa. Mi riferisco alla celeberrima (perlomeno dalle mie parti) Notturna di San Giovanni, evento che si tiene in quel di Cesena da tempi immemorabili (nel senso che io non ho idea di quando sia iniziato).
La data dell'evento è quantomeno curiosa se si pensa che il giorno di San Giovanni, santo patrono della città, è il 24 giugno, mentre la Notturna si tiene il sabato precedente; però, a ben pensarci, con la fiumana di gente che cala sul centro cittadino il giorno del patrono, l'unica possibilità per i corridori sarebbe dotarsi di scimitarra e farsi largo menando fendenti e non oso immaginare poi la spesa per lavare via tutto il sangue dal porfido.
Per amor di precisione ci tengo a specificare che non ho partecipato alla temutissima corsa competitiva, quella a cui prendono parte cyborg, alieni in sembianze umane e tutta una gamma di Terminator di nuova generazione che a guardali sembrerebbero proprio persone, bensì alla camminata non competitiva da 10 e rotti chilometri. Inizialmente ero un po' dubbiosa ma, avendo comprovato nelle ultime settimane che riuscivo a correre 10-11 km senza infarti, ingenuamente mi sono detta che si poteva fare, senza minimamente considerare che io vivo sì a Zezena, ma trovomi nella parte piatta, quella lato mare, mentre la corsa ovviamente si infilava su per la collina. NON è la stessa cosa.
Alle ore 18.30 la Checca è passata a prendermi e, caricato in macchina il mio zaino invicta delle superiori (noi ormai si va verso il vintage) con i vestiti di ricambio, siamo partite verso il centro. Ovviamente fino a due minuti prima del suo arrivo io giravo per casa agitando le estremità come una bambina al suo primo giorno di scuola (devo portarmi un fazzoletto? Mi metto gli occhiali da sole? Il cappellino servirà?)
La corsa iniziava alle 20 ma già alle 18.50 Piazza Almerici straripava di podisti, umani e non; facendoci largo tra la folla abbiamo raggiunto lo stand dell'associazione Simone Grassi e individuato immediatamente Davide e gli altri ragazzi volontari che si occupavano dell'iscrizione. Poco a poco sono arrivati amici e parenti, tra cui Riccardo, anche lui votato alla 10 km, gli antenati, questa volta in veste di pubblico, e il clan Farnedi che optava invece per la camminata breve. A fare la competitiva con la Checca c'era anche l'Enrica che incontravo per la prima volta extra-facebook, in carne e ossa; ho anche scoperto che lei e Paolo sono lettori di questo blog e devo ammettere che è una gran soddisfazione quando qualcuno mi dice che si fa due risate leggendo quello che scrivo. Paolo mi ha anche stupito dicendomi che mi immaginava più piccola ed è stato buffo pensare che, pur con i miei piedoni, scrivo petite.
Tra una chiacchiera e una foto, l'ora della partenza era ormai giunta e io mi guardavo intorno alla ricerca della Claudia (da non confondere con la Clodia), l'unica del parentado oltre a me e Riccardo a correre la 10 km
senza il turbo. Niente da fare, siamo partiti noi due soletti in un fiume multicolore lungo la strada che va verso
il teatro Bonci e che non ho idea di come si chiami (in fondo vivo qui solo da quando sono nata).
A questo punto è iniziato il dramma, la tragedia che potrei riassumere in una sola parola: falsopiano. Mi avevano avvertito che c'erano da affrontare due salite molto ripide, raccomandandosi di non correre su per la salita (non mi aveva neanche sfiorato il pensiero), però nessuno mi aveva avvertito che il percorso che collegava le due massacranti salite non era pianeggiante, era, come mi ha specificato DOPO mia sorella, un falsopiano. Falso...intendo il piano, perché se lo fai in macchina sarà anche piano, ma se la strada la fai di corsa è una di quelle salitine bastarde, lievi e costanti che nessuno ha il coraggio di chiamarle col loro nome rischiando di farsi dare del pappamolla, allora hanno inventato sta parola falsopiano che te lo dice già da sola che ti stanno prendendo in giro. Fatto sta che, dopo qualche chilometro di falsopiano e maledizioni lanciate a indirizzo ignoti, siamo arrivati alla salita annunciata, una semi-mulattiera che a guardarla la prima cosa che pensi è dov'è Heidi? e poi ti guardi intorno cercando la seggiovia. Quando alla fine realizzi che ti devi inerpicare con le tue gambine, lì hai il primo tracollo psicologico ma tieni duro, almeno fino a tre quarti della salita quando quell'unico neurone che ancora funziona ti fa tornare in mente Marco Masini che canta perché lo fai disperata ragazza? e quello ti dà il colpo di grazia.
Ho liberato il povero Riccardo, che correva praticamente sul posto pur di mantenere il mio passo, e mi sono fermata un paio di minuti a prendere fiato.
E, misteriosamente, da quel momento in poi le cose hanno preso tutta un'altra piega: tornata padrona del mio destino mi sono avviata decisa su per la salita, anche se con un'aria non proprio pimpante. Proprio in quel momento gli dei mi hanno mandato un segno tangibile della loro approvazione: è arrivata una macchina su per la strada e mi ha costretto a fermarmi per almeno un minuto in attesa che passasse (una sofferenza atroce); mentre lamentavo a gran voce questo contrattempo che mi obbligava all'immobilità una ragazzina, ridendo, mi ha offerto le ciliegie del suo albero, ciliegie che ho accettato con gioia, calcolando nel frattempo che il coglierne anche solo una mi avrebbe concesso un altro meraviglioso minuto di riposo. Insomma, il cielo ha approvato senza se e senza ma.
Avevo ormai percorso quasi tre quarti del tragitto quando mi sono sentita chiamare per nome e voltandomi indietro ho visto uno sconosciuto che correva verso di me e indossava una maglia gialla fosforescente, di fianco a lui c'era....la Claudia! Era partita in ritardo e questo sant'uomo (che aveva già concluso la gara) l'aveva aiutata a raggiungermi. Da quel momento in avanti il nostro motivatore ci ha accompagnato per il resto del percorso, incoraggiandoci e spronandoci costantemente (rilassa le braccia che altrimenti domani ti fanno male! va più piano che ti stanchi!). Io dal canto mio ne dicevo di ogni, cosa volete, ognuno reagisce a modo suo. Verso la fine del tragitto, mentre si guadagnava la seconda maledetta salita, abbiamo incorporato nel gruppo un misterioso uomo in azzurro e, una volta usciti incolumi dalla discesa sull'acciottolato davanti all'anagrafe abbiamo tagliato gloriosamente il traguardo. Quando però ci siamo voltati per ringraziare il nostro leader, di questi non v'era più traccia. Dileguossi.
Non ero ancora ferma del tutto che già un omino mi cazziava perché non avevo il dannatissimo tagliandino da
riconsegnare per avere in cambio un altro tagliandino con cui andare a ritirare il pacco regalo. Il lasciapassare A38 non muore mai.
Alla fine della trafila, sto benedetto pacco regalo conteneva mezzo chilo di pasta (che fa sempre comodo), quattro biglietti omaggio per l'ippodromo (l'unica volta che sono andata alle corse facevo le superiori) e una maglietta, termine assolutamente inefficace per descrivere il lenzuolo che mi sono ritrovata tra le mani. Essendo tra gli ultimi a tagliare il traguardo, erano rimaste solo una marea di XL. L'obesità sarà in aumento in Italia ma evidentemente non lo è tra i corridori, neanche quelli della domenica.
Per finire l'avventura secondo il vero stile podista, io e la Checca ci siamo cambiate nel parcheggio vicino alla macchina e, ovviamente, proprio in quel momento ci sono passate di fianco almeno tre auto mentre, in equilibrio su una gamba sola, tentavo di infilarmi i pantaloni senza cadere. Da podista che si rispetti non mi sono lanciata di traverso sui sedili di dietro, me ne sono rimasta lì in mutande, evidentemente su per quelle salite oltre a un polmone avevo perso anche la vergogna.

Attenzione ai tombini in agguato!

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Il ritorno dalle ferie è iniziato col botto: sabato sera sono stata invitata a cena a casa Rinaldi per una serata spagnola a base di paella. Inizialmente la scelta del menu mi aveva lasciato un po' perplessa, sapendo che la Clodia non mangia né carne, né pesce, né tanto meno cipolla, non vedevo molto margine di manovra per la citata paella; mi sono tranquillizzata solo quando ci ha informate che per noi carnivore avrebbe preparato una paella tradizionale con cadaveri, mentre lei ne avrebbe mangiata una versione light.
La cena in questione era riservata esclusivamente alle signore; i baldi uomini si sarebbero invece riuniti nella casa in collina di Tommasoni per una serata ad alto tasso di virilità (leggi grigliata e birra).
Appena ricevuto l'invito ho chiesto quale contributo potessi dare al menu e la Rinaldi mi ha chiesto di occuparmi dell'aperitivo; a quel punto, sapendo che da giorni la Piraccini miscelava litri di sangria alla ricerca della ricetta definitiva, mi sono concentrata sulla parte mangereccia e, volendo rimanere in tema iberico, ho deciso di preparare una tortilla di patate.
Il giorno in questione sono arrivata in perfetto orario a casa Rinaldi esibendo con una certa soddisfazione la mia tortilla che, non solo aveva un ottimo aspetto, ma era anche cotta alla perfezione.
Orgoglio e fierezza a non finire.
La Clodia ha aperto la porta, ha guardato me, la tortilla, e mi ha chiesto:" Dov'è la cocacola?"
Non proprio la reazione che mi aspettavo.
Ne ho astutamente dedotto che dovessero essere attese per cena un paio di bocce di cocacola, bocce che evidentemente io non avevo meco: uno sfortunato fraintendimento. Da quel momento in avanti per tutta la serata ogni cinque minuti qualcuna sospirava, bofonchiando qualcosa che puntualmente finiva con ....ocacola. Son stati momenti difficili e, messa di fronte alle non proprio velatissime allusioni delle presenti, mi sono difesa con la vecchia scusa dell'imprevisto: avevo portato due bottiglie di cocacola ma mi erano cadute in un tombino proprio davanti a casa Rinaldi. Non so perché ma ho avuto la sensazione che non ci credessero, oggigiorno la gente non ha un briciolo di fiducia.
Nonostante la temperatura non proprio primaverile, abbiamo accolto la proposta della padrona di casa e ci siamo spostate sul balcone per l'aperitivo. Lì abbiamo potuto ammirare un vero miracolo della natura: alcune eroiche piante che resistevano tenacemente (alcune addirittura sembravano prosperare), nonostante la vicinanza della Rinaldi e del suo proverbiale pollice nero. Tra le mille ipotesi avanzate quella più accreditata è che fossero piante prese in prestito da un vicino in occasione della cena.
E per chi sta pensando che siamo delle malfidate, pregasi leggere La Squartatrice, Pollice Nero e Amor di Broccolo: il Ratto dell'Ikea. E' tutto scritto lì.
Tra una chiacchiera e l'altra la Clodia ci ha offerto il frushi, un sushi a base di frutta da pucciare (leggi intingere) nella marmellata made by Clodia; il piatto era buono ma, a detta di alcune, sarebbe stato meglio se accompagnato dalla cocacola.
Dato il clima rigido, la cena era servita all'interno e, almeno in questo caso, nessuno ha avuto il coraggio di dire che la paella sarebbe stata più buona se accompagnata alla cocacola, probabilmente temendo un fulmine  lanciato dal cielo, oppure via satellite dai giudici di Master Chef.
Tra una chiacchiera e l'altra la paella ha ceduto il posto al semifreddo di mandorle con crema calda di cioccolata (made by Concetta) che ha concluso il menu in grande stile; è stato a quel punto che la Piraccini indicando la televisione in zona salotto ha chiesto:"Ma quello che programma è?"
La tv, ancora accesa per motivi che al momento mi sfuggono, era sintonizzata sul canale Cielo e mostrava la scena di due che, nonostante fossero avvolti dalla penombra, stavano assolutamente e inequivocabilmente facendo sesso. Con tanto di chiappe al vento e via di seguito.
La mia prima reazione è stata di feroce e sacrosanta indignazione: sì perché quando a suo tempo trasmisero la sesta serie di Buffy l'ammazza vampiri su Italia 1, nonostante l'orario fosse il medesimo (le 23.30), le puntate venivano sforbiciate con lo stesso entusiasmo di Edward Mani di Forbice che pota le siepi, tutto allo scopo di rimuovere le peccaminosissime scene di sesso, scene in cui, anche a guardare con la lente, non si vedeva nemmeno un seno. E qui invece mi trovavo di fronte a una trasmissione che, con la scusa della terapia sessuale, mostrava molto di più e in maniera ben più gratuita. Allora mi chiedo: Dov'erano i mille comitati per la tutela della morale e degli occhi innocenti dei pargoli (che evidentemente vivono la vida loca fino a oltre mezzanotte) quando hanno approvato questo programma? Dormivano? E se dormivano, perché invece ardevano del sacro fuoco della censura quando il povero Buffy era sotto i riflettori? Ci sono scene intere che sono diventate comprensibili solo dopo aver visto la versione originale.
Ovviamente la mia indignazione non è stata sostenuta dalle altre commensali, che suppongo non abbiano apprezzato la serie quanto me, comunque l'assurdità delle scene è stata ampiamente commentata, nel senso che non c'è niente di sbagliato nel fare un programma serio che analizzi le difficoltà sessuali che le coppie incontrano, cercando di offrire informazioni e consigli, non vedo però l'utilità di far vedere dal vivo i due che mettono in pratica i consigli ricevuti, l'effetto è molto Grande Fratello in notturna.
Siamo rimaste sedute a chiacchierare fino a tardi, sapendo che la Clodia doveva aspettare le 3 di notte per andare a prendere suo nipote in uscita sabatoserale; quando, una alla volta, ci siamo congedate, ho salutato la padrona di casa raccomandandole di fare molta attenzione, questi tombini infingardi spuntano come funghi intorno a noi.
Giro la raccomandazione anche a voi, ovviamente siete liberi di fare come vi pare ma poi se vi trovate catapultati in un'altra dimensione popolata solo di calamari giganti viola con due bottiglie di cocacola non venite a lamentarvi con me.

Non vorrei avere avuto un sinistro!

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In questo post parleremo di cambiamenti, cambiamenti di prospettiva, capovolgimenti, di tutte quelle modifiche che ci fanno vedere il mondo da un altro punto di vista, e per fortuna!

Qualche giorno fa mi è stata presentata da Farnedi una proposta che definirei ardita, quasi sovversiva, proposta che alla fine, dopo attenta riflessione ho deciso di accettare. Ricevuto il mio assenso, Farnedi si è messo in moto e ha cambiato le corde del mio ukulele, trasformandolo in strumento per mancini.
Premetto che io scrivo con la destra ma, nel corso degli anni, il dubbio di poter essere una mancina mancata è cresciuto in maniera significativa e, una volta ammessa anche solo la possibilità, mi sono tornati in mente molti ricordi che sembravano tutti confermare quest'ipotesi.

Tutto è iniziato constatando il fatto che la mia calligrafia è da sempre fonte di pesanti critiche (hanno anche ragione, scrivo proprio male); inizialmente mi ero rassegnata alla cosa, come una si rassegna ad avere un naso troppo lungo o le gambe storte, poi però mi sono chiesta E se il problema fosse che scrivo con la mano sbagliata? Qui a lato vedete alcuni tentativi che ho appena fatto, il nome Estrema che è sottolineato in
rosso l'ho scritto usando la mano destra, tutto il resto è con la sinistra. Ditemi voi...
Vediamo anche qualche altro esempio:
1) qualche anno fa ho fatto da cavia per una ricerca sulla lateralizzazione; il questionario poneva tutta una serie di domande su quale mano, piede, occhio si predilige per compiere certe attività e ho notato che in molti casi la mia risposta era a sinistra, ad esempio: quando mangio il coltello lo uso con la sinistra, quando spazzo la mano che "guida" è la sinistra, ecc.
2) ho insegnato inglese all'interno di un corso di formazione per estetiste e alcune studentesse erano convinte che fossi mancina perché mi hanno detto che, quando parlavo alla classe, guardavo quasi sempre in alto a sinistra,
3) sono andata a fare uno di quei massaggi di riflessologia plantare e la signora dopo aver dato un'occhiata alle piante dei miei piedi  mi ha detto:"Sei mancina, vero?" e mi ha spiegato che dalla pianta del mio piede sinistro si vede chiaramente che il peso del corpo lo sostiene quel piede lì,
4) tempo fa disegnavo con le mie nipotine su una lavagna con i gessetti; essendo in tre c'era poco spazio e se l'erano preso quasi tutto loro per cui io ero relegata a sinistra; così per ridere ho preso il gesso con la sinistra e mi sono messa a disegnare e posso affermare di non sapere disegnare con la sinistra proprio come con la destra, sono negata ma non si notano grosse differenze,
5) Non posso dire di giocare bene a ping pong ma almeno perdo con sufficiente dignità; quando mi è capitato di provare a giocare con la sinistra, dopo un paio di partite non c'era poi così tanta differenza tra giocare con una mano o con l'altra.
Alla luce di tutti questi fatti (e del mio impedimento a fare i ritmi sull'ukulele con la destra) mi sono detta: "Proviamo..." e ho preso in mano lo strumento, sprofondando inizialmente nel panico assoluto perché le posizioni degli accordi, per quanto speculari, non riuscivo proprio a ricordarmele, le mie dita non ne volevano sapere. Dopo dieci minuti ho smesso per non deprimermi e solo il giorno dopo, in assenza dell'occhio vigile del trainer, ho riprovato, scegliendo "Singer of songs" di Johnny Cash che posso fare con due soli accordi e un ritmo molto semplice; ho ottenuto qualche risultato in più ma anche in quel caso dopo altri dieci minuti ho smesso, alquanto sconfortata.
Il giorno dopo Rico, notando che avevo spostato l'ukulele, mi ha chiesto: "Ma... hai suonato?" E io tutta fiera ho preso l'ukulele per fargli vedere che qualcosa ero riuscita a combinare. Bene, in quel momento non so esattamente cosa sia successo (non era neanche Pentecoste, ho controllato) ma il sacro fuoco dell'ukulele mi ha preso e, nel mio modo assolutamente sgraziato e penoso, sono però riuscita a cantare e suonare tre strofe della canzone tutte di fila. Ero incredula.
Ho alzato gli occhi sgranati verso il maestro e mi aspettavo perlomeno un grido del tipo:
"SI PUÒ FARE!!!!" 
come Gene Wilder in Frankenstein Junior.

Invece Farnedi mi guarda e dice:" Brava! Sei stata proprio brava, però adesso devi lavorare sulle dita perché nel FA le metti giù in ritardo, in questo caso non è un problema, dà un colore in più, però in altri casi può essere un problema..."
Sono questi i momenti in cui mi dispiace che il salotto sia al primo piano mentre il giardino, dove tengo la badila, è al piano terra, ci sono situazioni in cui certe cose le vorresti avere a portata di mano...

Comunque, pur con i suoi alti e bassi, l'esperimento continua e solo il futuro ci dirà se stiamo andando nella direzione giusta. In ogni caso, sul terrazzo qui al primo piano c'è uno sgabuzzino perfetto per la badila....


P.SQuesto articolo è stato scritto per la rubrica L'Angolo dell'Estrema Riluttanza su Stonehand Ex Press

A volte in spiaggia si rischia la pelle

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A volte capita di fare un viaggio quando meno te lo aspetti; sei lì che fai colazione sfogliando Grazia per distrarti dai mille impegni della giornata e, improvvisamente, ti trovi catapultata nel bel mezzo di un dramma umano, una tragedia che si consuma tra le onde e la sabbia di terre lontane.
In questo caso l'eroina del nostro dramma è una giovine e avvenente fanciulla che ha deciso di dare una svolta al suo look e buttarsi sulla pelle; investe quindi uno stramilione di euri in un nuovo guardaroba e, una volta a casa, si trova di fronte al classico dubbio che attanaglia chi è reduce da sciopping compulsivo: e adesso di tutta sta roba cosa me ne faccio? Non ci è dato di sapere quale sia il processo mentale che la porta a individuare proprio la spiaggia come luogo ideale ove sfoggiare il suo nuovo biker look ma ce ne facciamo una ragione e la seguiamo mentre entra decisa nella sabbiosa arena, inguainata in un miniabito color liquirizia.
Essendo donna prudente e consapevole dei rischi dell'esposizione selvaggia al sole, la nostra amica si è applicata una generosa dose di crema protettiva (o forse è olio solare che faciliterà la successiva rimozione di tutte quelle aderenze) e indossa un berretto con visiera che fa molto Village People.
Completa il tutto un bracciale con quelle due tonnellate di pietre che, ci auguriamo, sposterà a intervalli regolari anche sull'altro braccio, in modo da esercitare entrambi gli arti ed evitare l'effetto Hellboy che poi ti tocca far modificare le camicie.
Così bardata la nostra amazzone fa il suo ingresso da star sulla battigia però, inspiegabilmente, i due manzi che la incrociano sulla passerella non si degnano neppure di girarsi a guardarla. Ma che modi sono?
O forse il look non è quello giusto?! Per fortuna lei abita nei paraggi e può correre a casa, tuffarsi nell'armadio e riemergerne con un nuovo stile: abbandona il berretto e, sempre strizzata in un miniabito di pelle e taccata da dominatrice, si drappeggia artisticamente su una sedia a sdraio per vedere di nascosto l'effetto che fa.
Non abbiamo modo di sapere se il virile maschio che le sfreccia di fianco stia correndo perché al chiosco lì vicino offrono saraghina gratis o se stia più semplicemente andando a farsi una nuotata, fatto sta che non se la fila nessuno neanche stavolta.


Son momenti decisamente difficili ma la nostra eroina non ci delude: dopo un rapido cambio d'abito torna in pista e, individuata la sua preda (questa volta un atletico esemplare intento a scolpire il fisico), si ferma proprio un attimo prima di saltargli in braccio e lo fissa provocantissima in tutta quella pelle.
Per tutta risposta il primate maschio in oggetto si rivela molto più interessato alla sua tartaruga che a qualsiasi femmina bardata nei dintorni e non la considera neanche di striscio.
Pluf! Altro buco nell'acqua.
A questo punto, la fiducia della fanciulla comincia a vacillare ma lei non si lascia scoraggiare, ha ancora qualche cartuccia da sparare. Il guardaroba è ormai un po' sguarnito ma regala ancora qualche perla; indossati i colori di guerra, la nostra torna alla carica ma la attende una brutta sorpresa, la spiaggia si sta spopolando, si è ormai fatta ora di pranzo...
Tentando il tutto per tutto (come indicano chiaramente gli...stivali?, sandali? Fate voi), si avvicina a un gruppetto di maturi villeggianti (evidentemente già mangiati), sperando che almeno loro la notino; purtroppo questi due sono talmente presi dal racconto della recente colonoscopia subita dal tipo sulla sedia blu, da non accorgersi neppure della sua presenza.
Viene da chiedersi in che diavolo di mondo viviamo se una povera fanciulla, pur mettendoci tutto il suo impegno, non riesce a strappare neanche un'alzata di sopracciglia. O tempora, o mores!
Ormai sconfitta, la giovine sta per fuggire in un mare di lacrime verso il divano e un chilo di gelato ma il pensiero di quell'ultimo outfit che aveva provato davanti allo specchio la trattiene, in fondo - si ripete - la strada va percorsa fino in fondo, è sempre meglio il rimorso del rimpianto. 
In questo suo ultimo e disperato tentativo non è particolarmente selettiva: si piazza davanti alla prima attempata bagnante che incontra e improvvisa una sfilata togliendosi pure il giubbotto, sperando almeno in uno sguardo d'invidia; la signora in effetti la osserva e si lascia sfuggire un commento:
"Bambina mia copriti che, bianca come sei, ti viene l'eritema!"

Come ogni tragedia degna di questo nome, anche questa ci lascia un prezioso insegnamento: mai andare coi sandali di pelle in spiaggia, che poi ti suda il piede, la sabbia si appiccica e ti vengono le vesciche.

Per le Balle di Paglia citofonare Gatto

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Ci sono quelle domeniche estive in cui ti ritrovi a vegetare sul divano senza sapere bene come far sera e tutte quelle ore che hai davanti sembrano destinate a non finire mai. La domenica che mi accingo a descrivere non è stata una di quelle.
Vediamo il programma: ci si trovava con un manipolo di amici all'ora di pranzo a Casalborsetti per un barbecue, per poi spostarsi la sera a Cotignola per vedere un concerto all'Arena delle Balle di Paglia.
Ecco com'è andata.
Dopo un viaggio sorprendentemente privo di imprevisti e traffico (la domenica mattina sulla riviera romagnola, praticamente un miracolo), abbiamo raggiunto il Bar Lamone a Casalborsetti, sede eletta per il barbecue, dove con soli 2,50 euri ti mettono a disposizione postazioni, legna e griglie e tu puoi trastullarti per qualche ora carbonizzando della ciccia.
Non so voi, ma io associo la parola barbecue all'idea dell'uomo con grembiule e forchettone che assume il comando della situazione con il piglio di chi  affronta belve a mani nude, anche quando sta semplicemente grigliando dei wurstel di tacchino, quindi davo per scontato di trovare in loco dei virili maschioni che si sarebbero incaricati di domare le fiamme e nutrire il popolo.
Immaginatevi la delusione quando siamo arrivati al Bar verso le 12.30 e ho saputo che erano ancora tutti allegramente in spiaggia mentre la nostra postazione barbecue era nuda e abbandonata.
Io, ovviamente, portavo meco anche un corposo sacchetto di patatine (la droga) che in quel frangente si sono rivelate molto utili, essendo che il fuoco era ancora da accendere e quindi aspettare la ciccia era un po' come aspettare Godot; inutile piangere sul latte versato, meglio consolarsi a suon di vino bianco, birra e patatine.
Fortunatamente il marito della Carlotta vista la situazione ha deciso di immolarsi per la causa e ha iniziato con mani esperte a comporre la capannina di legna che poi, poco a poco ha trasformato un un robusto fuoco. E a questo punto lasciatemi dire che chiunque accetti di stare in bocca alle fiamme in luglio con trenta gradi a sgardellare ciccia è un eroe assoluto, io mi sono limitata a bucare le salsicce sul fuoco per fare uscire il grasso e già così sembrava di essere all'inferno, forse anche a causa dell'unica forchetta disponibile (di plastica) che dovevo usare con estrema attenzione onde evitare che fondesse. Il resto del tempo l'ho passato a ripetere come un mantra "La prossima volta insalata di patate!"
La diretta conseguenza di esperienze di questo tipo è che, per un po' (un po' molto lungo), tutto odora di bestia; dopo un'ora davanti a queste griglie ti senti come se stessi sudando grasso, in pratica diventi una salsiccia. In quelle condizioni difficilmente mi sarei potuta mescolare alla gente civilizzata di Cotignola, se non fosse stato per il provvidenziale intervento della Marzia che mi ha prestato un suo bikini, permettendomi di fare un bagno tra le onde che mi ha riportato in vita, per non parlare della Valentina che mi ha offerto casa sua e, nello specifico, la sua doccia. Sante subito.
Prima di entrare in casa, Valentina ci ha avvertito della presenza del suo gatto che, in quanto felino, forse non avrebbe gradito l'intrusione nei suoi possedimenti (per esperienze simili vedi E un giorno ti svegli e sei il Gatto con gli Stivali); in realtà quel micione rosso che risponde all'azzeccatissimo nome di Gatto, ci ha annusato e leccato persino le dita.
Porto questo dettaglio a ulteriore conferma del fatto che eravamo completamente rivestite di grasso animale: Gatto ha visibilmente apprezzato.
Oltre a darmi asilo, la Valentina mi ha anche generosamente vestito perché, da quel genio che sono, mi ero preparata l'abbigliamento da freddo/umido per la sera tra le balle di paglia (jeans, felpa, calzini) ma avevo dimenticato a casa le scarpe e, obiettivamente, i sandali bianchi col calzino nero non potevo proprio metterli, mi avrebbero tolto la cittadinanza. Fortunatamente abbiamo scoperto di avere lo stesso numero di scarpe, lassù (e quaggiù) qualcuno mi vuole bene.
L'Arena delle Balle di Paglia di Cotignola è stata una vera rivelazione; ci si arriva dopo 15 minuti di cammino nel silenzio dei campi e si attraversano le scenografie più diverse, dalla casa di campagna alla barca in mezzo al fiume, fino ad arrivare all'arena vera e propria, un'enorme spazio verde trasformato in arena da un numero spropositato di balle di paglia, appositamente collocate da un gruppo di eroici volontari. L'unico rammarico è essere arrivati là quando ormai era buio e non aver potuto vedere il tutto alla luce del sole (o ancora meglio, del tramonto, vedi foto).
Il concerto è iniziato di lì a poco e, nonostante la folla, siamo riusciti a trovare balle sufficienti per accomodarci tutti e dieci. Ammetto che per i primi dieci minuti non sono riuscita a concentrarmi, distratta com'ero dal pensiero di quelle enormi rotoballe artisticamente impilate dietro il palco che immaginavo sarebbero franate da un momento all'altro sugli ignari musicisti, i quali musicisti però non sembravano minimamente turbati dal pensiero di quella bionda montagna che incombeva su di loro. Si vede proprio che siamo diversi.

La serata era dedicata all'etichetta Brutture Moderne e a tutti i suoi artisti, il nostro gruppo però si trovava lì per due motivi ben precisi: volevamo sentire il concerto di Farnedi e anche la performance di Riccardo Lolli che avrebbe cantato un brano scritto da Eloisa Atti, Scilla e Cariddi, una delle dieci canzoni dedicate al mito di Ulisse e riunite nel cd Penelope.
Dopo una prima performance prettamente strumentale su musiche di Francesco Giampaoli che presentava il suo disco La danza del ventre, siamo passati a Eloisa Atti e al suo Penelope: ironico, tragico, malinconico, hai l'impressione che ti trasporti in mille direzioni diverse ma poi torni sempre a casa. E, finalmente, è arrivato il momento di Riccardo Lolli e di Scilla e Cariddi.
Protagonista della canzone è un babbo nelle cui figlie si sono reincarnati i due mostri mitologici del titolo e, cosa volete che vi dica, a me è piaciuta un sacco; mi è piaciuta anche molto l'interpretazione di Lolli che navigava tranquillo in quel mare di note facendolo sembrare semplice (bambini, non provate a farlo a casa).
Cameo coristico di Giulio, figlio di Lolli, e Giulia, figlia del chitarrista Marco Bovi.

A chiudere la serata di Brutture Moderne ci ha pensato Farnedi con un suo mini concerto; in questo caso vorrei concentrarmi su quell'ultimo pezzo, Quanto piangere, che ha riunito sul palco tutti i protagonisti della serata. Non so bene come spiegare questa cosa ma, le emozioni che mi ha dato quel la canzone mi hanno colto totalmente di sorpresa; avendola sentita uno stramilione di volte, non me l'aspettavo e la cosa mi ha dato da pensare . La canzone era sempre la stessa, col suo velo di malinconia, quindi cosa c'era stato di diverso?
A corrermi in soccorso, squarciando l'oscurità dell'ignoranza, è stata la tecnologia di Riccardo Lolli, il quale ha video-documentato tutta la serata.
Se osservate il video di quest'ultima canzone vedrete che tutte le persone che stanno suonando di tanto in
tanto si guardano, sorridono, c'è della felicità nell'aria e, secondo me, sono stati proprio quella felicità e quell'entusiasmo che i musicisti sul palco sono riusciti a trasmettere anche a noi che eravamo dall'altra parte del fossato.
La felicità evidentemente è contagiosa, come la varicella ma senza le crosticine.





P.SQuesto articolo è stato scritto per la rubrica L'Angolo dell'Estrema Riluttanza su Stonehand Ex Press


Come perdersi in un bicchiere d'acqua

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Quando una fa un lavoro come il mio, capita di trovarsi a tradurre in situazioni molto diverse: dal convegno sulle pale meccaniche alla convention sugli UFO; allo stesso modo si incontrano persone di ogni tipo e ci sono momenti (e persone) che ci si augura fortemente di non incontrare mai più anche se, a modo loro, alla fine anche questi figuri hanno qualcosa da dirci.
In questo caso torno con la memoria a un convegno di qualche tempo fa; avevo appena passato il microfono alla mia collega e mi godevo il meritato riposo quando ho assistito alla seguente scena: il relatore del momento, un uomo stagionato e infervoratissimo, parla della necessità di rinnovamento della sua istituzione, rinnovamento che sta già avvenendo grazie a questi giovani che arrivano con abbigliamento spigliato e gel nei capelli (un consiglio: evitate quest'espressione che vi fa sembrare più vecchi delle piramidi) a dare un nuovo impulso alle nostre iniziative.
Tutto preso dal suo discorso, l'uomo gesticola vivacemente, batte un pugno sul podio, tutta roba che alla lunga inevitabilmente secca la gola, quindi gli tocca bere ripetutamente e il povero bicchiere che ha di fianco è presto vuoto. A quel punto, mentre il nostro arringatore di folle continua la sua performance, una signora che fino ad allora se ne era rimasta in disparte in platea (immagino una hostess), sale quei tre gradini che la separano dal podio, prende il bicchiere e lo va a riempire al tavolo dei relatori a un metro da lui, poi torna, glielo appoggia sul podio e si dilegua, lasciando la bottiglia sul tavolo. La cosa mi confonde, se lui si fosse dimenticato di portare seco sul podio la bottiglia (era la mia ipotesi più solida), la tizia accorsa in suo aiuto gliela avrebbe portata insieme al bicchiere, ma riempirgli semplicemente il bicchiere mi pare assurdo, non è mica un bambino piccolo!
Ci penso e ci ripenso ma non ne vengo a capo, perché riempirgli il bicchiere? Una cortesia senza dubbio ma, dovuta a cosa? Quando finalmente ci arrivo, mi do della tonta per non aver capito prima: questo signore deve avere qualche tipo di disabilità che gli impedisce di riempirsi il bicchiere da solo, come ho fatto a non pensarci? Però poi, riflettendoci meglio, questa seconda soluzione non mi convince perché, a giudicare da come l'individuo gesticola, la mobilità degli arti superiori non mi pare ridotta e, se invece avesse problemi alle gambe, gli sarebbe sufficiente appoggiare la bottiglia sul podio di fianco al bicchiere.
Nel frattempo il relatore prosegue il suo discorso con rinnovato vigore e, inevitabilmente, il bicchiere si svuota di nuovo. Ed è a questo punto che la luce della comprensione squarcia la notte del dubbio e dell'incertezza: davanti ai miei occhi increduli, quest'uomo alza il bicchiere verso la hostess e le fa un cenno, come a dire "Qui c'è un bicchiere da riempire!"
Oh, questo pensa di avere la schiava, manca solo che le chieda di fargli vento con una piuma!

A conti fatti direi che la mia seconda ipotesi era giusta: in effetti l'handicap c'è, però non è del tipo che pensavo io.

W la modernità e il rinnovamento di questi giovani spigliati...ma solo fino a un certo punto.

Lo Spritz e il nuovo protocollo operatorio

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Come spesso accade, la mia fonte d'spirazione per questo post è il numero 29 di Grazia, arrivato dritto dritto da casa degli antenati.
La mia attenzione si concentra sul pezzo a pag 66, potrebbe essere un'intervista a una topolona notata da un talent scout mentre cantava al compleanno della nonna e ora divenuta una superstar in Madagascar, oppure un servizio su due fratelli gemelli che, dopo essere stati rapiti dagli ufo, si scoprono dei superpoteri e decidono di emigrare a Parigi perché sulla Torre Eiffel i segnali alieni si ricevono meglio, la realtà è invece molto più banale: trattasi dell'ennesima inchiesta, Avete un corpo da spiaggia? seguita da una caterva di informazioni su come rifarsi tutto il possibile, dalla brachioplastica al lifting del sopracciglio, passando per la liposuzione al seno per gli uomini pettoruti, tutto ovviamente senza menzionare il numero di organi interni che vi dovreste vendere onde finanziare questa Grande Opera.
L'articolo in sé non è degno di particolare nota, quello che mi ha fatto alzare il sopracciglio (senza bisturi, per il momento) è la foto che lo accompagna e che trovate qui sotto.
A una prima distratta occhiata potrebbe sembrare tutto normale, una specie di sala operatoria, la paziente stesa e un'infermiera al lavoro; poi però guardando meglio cominci a farti delle domande, ad esempio:
1) perché la tipa stesa sembra essere su un lettino ginecologico, con quelle gambe là per aria? Che debba fare la Gigia-plastica?
2) cosa sono quella specie di stivali-calze di domopack? E perché la paziente indossa un reggicalze? E' il nuovo protocollo operatorio?
E non abbiamo ancora detto niente dell'infermiera, la quale indossa un vestitino trasparente e, in ossequio al rigido criterio della sterilità totale degli ambienti operatori, si è messa una minuscola fascetta bianca in testa e dei guantini alla Michael Jackson, sentendosi quindi libera di alitare in faccia alla malcapitata mentre tenta di soffocarla con una maschera di plastica trasparente il cui utilizzo non fa che creare nuovi interrogativi, tra cui quale fosse il vero articolo per cui la foto è stata scattata: le fantasie erotiche dell'italiano medio? Il role-play nelle coppie lesbiche?
Il principe dei dubbi resta però un altro: ma quanti bicchieri di Spritz si era bevuto quello che ha scelto questa foto a corredo dell'articolo?

Ferragosto sì ma in edizione limitata

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Come ho già detto in altre occasioni, in quel della riviera romagnola siamo ormai rassegnati al fatto che ci sono periodi in cui tocca voltare le spalle alla terra natia, schifare il mare e cercare rifugio altrove. La settimana di ferragosto è uno di questi periodi.
Normalmente, nei due giorni che precedono e seguono ferragosto, per convincermi a uscire di casa per andare al mare dovrebbero bombardare casa mia e tutto l'entroterra per chilometri, in questo caso invece ho deciso di trasgredire il santo precetto, sfidare gli dei e osare l'impensabile: venerdì 16 agosto, in pieno ponte di ferragosto, ho preso lo scooter per andare a Valverde di Cesenatico.
La meta del mio breve viaggio era il bagno Bahamas dove, quella sera, il duo Formazione Minima (anche noto agli amici come i Lorenzi) si sarebbe esibito verso le 21.30 in uno spettacolo di teatro-canzone.
Riesaminando la situazione col senno di poi, mi rendo conto che nel corso della serata il cielo mi ha mandato diversi segnali (stai a casa!), in effetti me ne ha inviati a frotte ma, purtroppo, non me ne sono mai accorta. Facciamo qualche esempio:
1) sono nell'ingresso di casa poco prima della partenza: prendo la borsa, ci infilo la felpa e la sciarpina di sicurezza (abbiamo una certa età e con gli spifferi non si scherza), esco di casa, chiudo la porta, metto le chiavi di casa nella borsa, apro il bauletto dello scooter per estrarre il casco e metterci la borsa ma dentro invece del mio casco ci trovo quello di Farnedi. Mi maledico per non averci pensato, apro la borsa, estraggo le chiavi di casa, afferro il casco Farnedi, riapro la porta di casa, prendo il mio casco, appoggio l'altro sul mobile, esco e richiudo a chiave.
2) sbuffando mi metto la felpa e il casco e, proprio in quel momento mi viene in mente che il portafogli non è nella borsa come al solito, l'ho usato nel pomeriggio per un acquisto online ed è quindi tuttora di sopra, in salotto; altre maledizioni, devo tornare a prenderlo ma non posso farlo messa così, suderei fino al midollo! Mi tolgo casco e felpa, riapro il bauletto, dove nel frattempo avevo messo la borsa, e riparte la trafila chiavi-apri porta-vai in salotto-scendi. Una volta di sotto, accendo la luce dell'ingresso per controllare di avere almeno cinque euri nel portafogli ma mi sbaglio e accendo la luce fuori sotto il portico, per fortuna riesco comunque a scorgere dieci euri nella penombra, per stasera mi bastano, siamo a posto. Chiudo tutto, porta, borsa, bauletto, indosso felpa e casco e finalmente sfreccio via verso sabbiosi orizzonti.
3) mentre mi allontano a tutta velocità (ormai sono oltre il ritardo), con la coda dell'occhio registro qualcosa di strano, mi volto un secondo e...la luce del portico è accesa! Mi sono dimenticata di spegnerla, e ovviamente l'interruttore è dentro casa. Per un istante accarezzo la possibilità di fregarmene e andare via, dopotutto sono sicura che Farnedi, se gli dicessi che mi sono dimenticata la luce accesa per quattro ore, sarebbe più che comprensivo ma, essendo che io sono io, non resisto e torno indietro, meditando sul numero di capelli bianchi che mi regalerà la serata.

Come previsto, una volta giunta in zona Cesenatico, mi trovo a combattere con un traffico a dir poco folle: macchine che vanno ai due nella speranza (vana, però chi ha il coraggio di dirglielo?) di trovare un parcheggio sul lungomare, gente in bicicletta contromano e/o senza lume, carrozzelle/risciò condotti da cerebrolesi con un misteriosi andamenti slalomistici (che ci sia all'orizzonte una gincana  coi risciò di cui nessuno mi ha informata?), insomma, tutto il prevedibile repertorio dei vacanzieri di ferragosto.
Arrivo indenne in zona Valverde e, una volta raggiunto il Bagno Bahamas, inizia la ricerca di un parcheggio per lo scooter. Sì, lo so che potrei anche parcheggiare sul marciapiede come fanno molti ma l'esperienza insegna che, se solo mi azzardo a parcheggiare in divieto in una strada che appare completamente deserta, immediatamente esce da una finestra un vigile/ausiliario del traffico col blocchetto delle multe già sguainato, preferisco non correre rischi. Peccato però che a Valverde non sia ancora arrivata notizia dell'esistenza delle due ruote né, quindi, della necessità di moto-parcheggi; dopo aver percorso circa un chilometro di lungomare imprecando dietro a risciò e autobus, trovo finalmente un parcheggio per moto con ben tre-dico-tre posti, due dei quali già occupati. Sistemo il mio scooter, raggiungendo la quota massima di due- ruote permessa dalla zona, e mi avvio di buon passo verso il lontano Bagno Bahamas.
Quando finalmente arrivo in loco, la performance è ovviamente già in pieno svolgimento, quindi recupero una sedia e vado a sedermi al tavolo della Piraccini, scusandomi per il ritardo e chiedendo se hanno iniziato da molto; lei mi risponde che non lo sa perché, causa disguido fantozziano al chiosco della piadina è arrivata a concerto già iniziato (avevano ordinato i crescioni per tutti ma quando lei è passata a ritirarli, dopo ben 40 minuti di attesa, ha scoperto che questi avevano perso l'ordine e le è toccato aspettare ancora: in sostanza c'è voluto più di un'ora per avere tre crescioni e una piadina col prosciutto).
Al momento il vassoio incriminato giace intonso sul tavolo e la cosa in sé ha implicazioni che obbligano a una riflessione: da una parte significa che i due artisti in piena performance sono a stomaco vuoto da ore e, con l'appetito che si ritrova Gasperoni, temo che finisca col mangiarsi Bartolini facendo diventare ancor più minima la formazione (da i Lorenzi a il Lorenzo, riga), dall'altra implica che le signore hanno deciso di aspettare le loro metà e cenare insieme a fine concerto.
Provo a calarmi per un attimo nella medesima situazione: sono andata io dalla piadinaia a prendere le piadine per tutti, ho aspettato io un'ora lì da sola e alla fine mi tocca avere davanti agli occhi la mia cena per due ore senza poterla mangiare? Va là che non è vero!! Non ho mica ammazzato nessuno!!
Duole ammetterlo ma, tutto considerato, temo che mi beccherei un debito formativo in moglie.
Devo riconoscere però che le privazioni sembrano dare ulteriore slancio alla performance: un Bartolini scoppiettante divora un pezzo dopo l'altro mentre Gasperoni, senza mai perdere un colpo, sorseggia appena può la sua birra, probabilmente confidando che le calorie ivi contenute gli permetteranno di sopravvivere fino al termine del concerto senza fare vittime.
In questi casi le richieste di bis pesano come macigni su quegli stomaci vuoti ma i nostri, consapevoli di aver voluto la bicicletta dell'arte, fanno un ultimo sforzo e, seppur ostacolati da un venditore di rose che si piazza davanti al pubblico schiodando solo una volta venduto anche l'ultimo stelo, danno il tutto per tutto e ne escono vincitori.
Radunando le poche forze rimaste, i due eroi si siedono al tavolo sotto gli occhi preoccupati delle rispettive compagne, afferrano ciascuno un crescione e consumano il loro mesto pasto. Sono momenti difficili da ricordare, non c'è niente di più immangiabile di un crescione tenuto per due ore a contatto con l'umidità marina sembrano dire gli occhi dei nostri, forse solo la piadina col prosciutto cotto ribattono gli occhi della Piraccini, mentre ella mastica rassegnata la sua piadina. In effetti, per quanto deliziosi se consumati subito, il crescione o la piadina lasciati in balia dell'umidità marina si trasformano in un masgotto gommoso che ti fa sudare per mandarlo giù anche dopo averlo masticato a lungo.
Di fronte al dramma che si consuma a quel tavolo, dimentico per un attimo (ma solo per un attimo) le mie preoccupazioni, nello specifico il fatto che nonostante sia il 16 agosto è calato sulla riviera un freddo boia e io, che dispongo solo della misera felpa che indosso, dovrò affrontare i rigori di un viaggio di ritorno in scooter. Riflettendoci meglio però non posso che concludere che, in fondo, anch'io ho voluto la mia bicicletta, ora tocca pedalare.
Saluto tutti e mi avvio, sperando di riscaldarmi un po' nel chilometro di strada che mi separa dallo scooter e da quei tre parcheggi limited edition. 


P.SQuesto articolo è stato scritto per la rubrica L'Angolo dell'Estrema Riluttanza su Stonehand Ex Press


Prima di andare a Napoli è meglio riempire il bicchiere

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Essendo arrivato settembre, mi tocca ricominciare a lavorare, è triste ma inevitabile. 
Mercoledì mattina alle 12.07 dovevo partire per Napoli per andare a fare uno dei miei soliti lavori da interprete e il martedì pomeriggio, non avendo ancora ricevuto indicazioni precise dal cliente (quelle cose assolutamente superflue come quando e dove incontrarsi), l'agitazione aveva raggiunto e superato il livello di guardia.
Rico era partito il martedì mattina per andare a suonare a una delle mille feste che seguono le presentazioni dei film al festival del cinema di Venezia e sarebbe rimasto fuori a dormire, quindi quel pomeriggio a casa c'eravamo solo io e le mie paranoie (e se ritarda il treno e perdo la coincidenza? E se alla fine si scopre che l'appuntamento è fuori Napoli? Come ci arrivo? E se cade un meteorite sulla mia camera d'albergo?)

Verso le 22, mentre facevo la valigia in pieno picco d'ansia, mi ha inaspettatamente telefonato Rico per dirmi che, avendo finito prima del previsto, avevano deciso di tornare subito a casa (suppongo che la telefonata mirasse a evitare che nel cuore della notte lo scambiassi per un ladro e lo prendessi a padellate).

Versione n°1: BMV*
La mattina dopo sono uscita di casa con il mio trolley e la borsa, ho caricato tutto nel bagagliaio e acceso la macchina. Non è partita. Momento di panico. Mentre iperventilavo, ho notato l'orologio di fianco al volante, era spento. Azz! La batteria era morta. Ma come?!! Non è mica vecchia! Mistero risolto con un'occhiata al cruscotto: avevo lasciato le luci di posizione accese tutto il giorno prima, sono un vero genio.
Mi sono fatta dare un passaggio da Enrico e, una volta arrivata in stazione a Cesena mi sono seduta in attesa del treno; solo una volta passato l'orario di partenza è apparso sul tabellone un ritardo di dieci minuti, a quel punto la coincidenza era a rischio e, ovviamente, potevo scordarmi di riuscire a prendere un panino per il pranzo una volta arrivata in stazione a Bologna.
In un ultimo, disperato tentativo, ho cercato di comprare un sandwich in quelle macchinette tristissime sul binario ma non avevo spicci per cui sono andata in tabaccheria a comprare delle caramelle per farmi cambiare i soldi; ovviamente,
proprio prima di me c'era un ragazzo a cui servivano delle fotocopie e sospetto che la signora della tabaccheria avesse la macchina rotta e gliele abbia ricopiate a mano, almeno spiegherebbe l'eternità che ci ha messo a far tre fotocopie. Quando finalmente sono arrivata davanti al distributore e stavo per infilare la moneta nella fessura , proprio in quel momento è comparso il treno, che già che c'era poteva tardare un altro minuto e lui invece no, che bello.
Dopo un'ora in treno, passata elaborando millemila piani di emergenza per far fronte all'eventualità della perdita della coincidenza, arriviamo finalmente a Bologna, sempre con il nostro ritardo di dieci minuti (la coerenza innanzitutto).
Balzo fuori dal treno (si fa per dire, avevo trolley e borsa strapiena) e mi dirigo speditamente verso la nuova area della stazione per i treni ad alta velocità, una roba tutta acciaio e cemento, tipo Blade Runner ma più deprimente, che immagino abbiano costruito per facilitare le cose ai treni, o almeno lo spero, perché al passeggero questa simpatica novità rompe parecchio gli zebedei, costringendolo a una maratona tra scale mobili, corridoi e altre scale mobili.
Arrivo finalmente giù e raggiungo il binario solo per veder comparire sul tabellone il simpatico numeretto 40 nella colonna dei ritardi. Mo che ti venisse!

Versione n°2: BMP**
La mattina dopo sono uscita di casa con armi e bagagli e ho scoperto che la batteria era deceduta causa invornimento della proprietaria (avevo lasciato accese le luci di
posizione); fortunatamente la sera prima Enrico, invece di rimanere a dormire fuori, era tornato a casa e quindi mi ha potuto dare un passaggio in stazione dove mi sono seduta in sala d'attesa a leggere, dato che il treno era in ritardo.
Ero comprensibilmente preoccupata, dovendo prendere la coincidenza per Napoli a Bologna, il ritardo poteva mandare tutto a monte e, anche nel migliore dei casi, non mi avrebbe dato tempo di comprare qualcosa da mangiare. Ho considerato la possibilità di prendere qualcosa da mangiare dal distributore automatico sul primo binario ma proprio mentre mi accingevo a farlo è arrivato il treno.
Durante il viaggio ho riflettuto su cosa avrei fatto in caso di perdita della coincidenza e mi sono venute in mente varie opzioni possibili, in fondo era presto, avrei dovuto semplicemente cambiare il biglietto con quello di un treno successivo, niente di impossibile.
Una volta in stazione a Bologna sono scesa nell'area sotterranea riservata ai treni ad alta velocità; le varie scale mobili si sono rivelate una benedizione per chi come me aveva bagagli. Scendendo sembra di entrare in
un mondo parallelo, è tutto molto silenzioso, con poche persone, davvero rilassante.
Ero appena arrivata sul binario quando hanno annunciato che il treno sarebbe partito 40 minuti dopo; riflettendoci, è stata una vera fortuna non essere riuscita a comprare il panino dal distributore a Cesena, con 40 minuti a disposizione sarei riuscita a mangiare qualcosa seduta e in tranquillità.

Bene, io quello che dovevo fare l'ho fatto, adesso tocca a voi.
Scegliete pure la versione che preferite ma se volete un consiglio, si vive meglio con la seconda.


* Bicchiere Mezzo Vuoto
** Bicchiere Mezzo Pieno

Tondo è bello

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Abbiamo già parlato in passato delle molte difficoltà che si trova ad affrontare il musicista nella sua vita, appunto, di musicista; è quindi giunto il momento di mettere da parte gli artisti e parlare per un po' di noi del popolo e di quello che capita quando il volgo si mette in testa di andare a vedere un concerto. 
Riconosco che spesso tutto fila liscio: vai, prendi da bere, ti godi il tuo concerto e torni incolume, però ci sono le altre volte, quelle dispari, ed è appunto di quelle che mi accingo a parlare.
Ovviamente quella che vado a raccontare è una delle molte esperienze accumulate nel corso degli anni; per amor di brevità (e anche un po' per pietà nei vostri confronti), oggi mi limiterò a questa, lasciando a post futuri il compito di completare il quadro.

*****

E' una bella giornata, ho finito di lavorare presto (o forse quel giorno non lavoravo proprio) e quindi ho voglia di uscire e passare una bella serata in compagnia, magari andando a vedere un bel concerto. Passo a prendere la Rini a domicilio e mi lancio (si fa per dire, la Fiesta ha i suoi anni) sulla E45 in direzione Ravenna, confidando che il navigatore ci condurrà fino al Mama’s dove Farnedi ha in programma un  suo concerto. Giunta in fondo alla strada, laggiù dove l’oscurità è assoluta, sono lì che guardo il navigatore per capire quale delle due uscite prendere, onde evitare di finire a Ferrara, quando all’improvviso mi trovo i fari di un’auto puntati addosso.
La prima cosa che immagino venga in mente a entrambe (la Rini mi correggerà se sbaglio) è: Oddio, ci rapinano!
Avvicinandoci un po’ di più noto un tizio in piedi  e capisco che trattasi di un controllo della Guardia di Finanza (che poteva trovare anche un altro posto dove non rischiava di far venire un infarto ai conducenti ma comunque). Il tipo mi chiede patente e libretto come da programma e, mentre io scartabello nel vano documenti alla ricerca del libretto, comincia a fare alla Rini un sacco di domande su dove andiamo, cosa facciamo, quale concerto, insomma un pacco di fatti nostri, che ti verrebbe da dire alla faccia della privacy ma, cosa volete che vi dica, faccio sempre fatica a trovare da discutere con  chi ha il porto d’armi. Tutto questo mentre il suo zelante collega mi controlla la patente.
E qui ecco che ti arriva il colpo di scena: non riesco a trovare il libretto della macchina. Ora, nel mio universo di maniaca del controllo, scoprire che il libretto della macchina non è al suo posto è paragonabile allo scoprire che la terrà in realtà è piatta e che a un certo punto c’è un’enorme cascata dove tutto precipita nel nulla, in sostanza: non è concepibile, non esiste, NO. 
Alla notizia che non trovo il libretto l’uomo della legge non fa una piega e ci dice: andate pure, al che io lo guardo incredula e ribatto: No, No, il libretto deve saltare fuori!  
Nel frattempo la Rini mi sta dando vigorosamente di gomito (lividi ovunque) e sibilando: Dai che ha detto che possiamo andareeeee!!!! quindi, seppur controvoglia, riparto e mi dileguo.
Fortunatamente, un secondo controllo, una volta arrivati al locale, rivela il libretto in fondo al plico di documenti nell’apposito vano, il meccanico che ha portato la macchina a fare la revisione non l’ha rimesso nella sua cartellina di plastica (anatema!)
Mi sfugge un sospiro di sollievo, sono stati momenti difficili ma alla fine tutto è tornato alla normalità, il mondo è salvo e la terra è di nuovo rotonda.



P.SQuesto articolo è stato scritto per la rubrica L'Angolo dell'Estrema Riluttanza su Stonehand Ex Press

Il mattino ha l'oro in bocca, il mattino ha l'oro in bocca, il matt....

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Sono le 5.30 del mattino e me ne sto a letto col sonno in sciopero; ho provato a tenere gli occhi chiusi per fregarlo ma lui niente. Certo che una, almeno il giorno del suo compleanno, potrebbe farsi una bella dormita e magari alzarsi riposata e rilassata e invece ciccia.
Visto che non si rimedia niente, dopo essermi girata quelle cento volte, rischiando di strangolarmi con le coperte, decido di alzarmi e andare a farmi un tè. Apro gli scuri (non so bene perché visto che fuori è ancora buio) e il freddo mi ricorda che sarà anche il caso di vestirsi che sono in camicia da notte e in casa è un gran freddo. Mi vesto e poi scatto una foto a memoria di questo meraviglioso inizio di giornata, che neanche fosse un venerdì di quaresima.

Scendo in cucina, facendo il minimo rumore possibile, che Rico ieri sera lavorava e chissà a che ora sarà tornato a casa; sul tavolo trovo un biglietto in cui dice che si alza alle 9.30, tra più di due ore. Ho una fame che la vedo, non ce la faccio mica ad aspettare due ore per fare colazione, metterò su una gamella di tè, così intanto il mezzo litro di broda inganna lo stomaco.
Peccato che il mio stomaco sia come il sonno, mica si fa fregare così come niente, alla fine cedo e tiro fuori  i ventaglini di pasta sfoglia che si mangiano sempre volentieri ma dopo 4 o 5 mi viene quella sensazione che non so se è una cosa mia ma dopo 4 o 5 biscotti io già non ne posso più, tutto quello zucchero, tutto quel dolce, datemi del salame e dei ciccioli!
Mentre aspetto che il tè si diffonda per la gamella, accendo il computer; in realtà volevo finire di rileggere un libro di Paolo Nori che avevo letto anni fa (titolo: Si chiama Francesca questo romanzo) ma qui di sotto è ancora troppo buio e se accendo la luce mi sembrerà di essere in pieno inverno in un racconto di Dickens, una depressione che non ne esci più.
Allora andiamo col computer, magari mi collego a facebook che lì fai presto a far passare due ore. Apro Chrome e rimango senza parole di fronte al doodle di Google, è pieno di torte di compleanno e quando ci vado sopra col cursore mi dice Buon compleanno Estrema! 
Ecco, queste son le cose inquietanti che uno non vorrebbe vedere il giorno del suo compleanno, un po' come se ti suonassero alla porta, apri e c'è uno sconosciuto spaventoso che ti fa gli auguri, io chiamerei subito la polizia. Ovvio che non posso chiamarla e denunciare un doodle per stalking però...
Vabbè, adesso che mi sono sfogata con voi su questo inizio di compleanno un po' in salita mi sento meglio; mi viene anche in mente che oggi a pranzo sono invitata a casa dei miei e mia mamma fa la mia torta di compleanno, una variazione nocciolinosa del salame di cioccolato e, se ho fortuna, mio babbo mi avrà scritto una poesia di compleanno. E poi tra un po' si sveglia anche Rico. 
Tutto a posto, down rientrato, bevo il tè e guardo l'orologio pensando che, in caso la pazienza si esaurisca prima delle 9.30 posso sempre telefonare col cellulare al numero di casa, così Rico si sveglia prima, poi m'invento che erano quelli della Telecom...




P.S. Son due settimane che mia mamma mi tampina per sapere cosa regalarmi per il compleanno e, tra i vari pensieri che mi sono frullati per la testa, c'è anche quello che mi piacerebbe che questo blog avesse qualche lettore in più ma per quello lei non può aiutarmi, allora lo chiedo a voi: se conoscete qualcuno a cui pensate piacerebbe quello che scrivo, mandategli il link al mio blog, sarebbe davvero un gran regalo!

Basta piovere sul mio post!

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Mi è sempre piaciuto quando fuori diluvia e tu sei in casa al calduccio e, con una tazza di tè in mano e una coperta sulle ginocchia, osservi la pioggia che cade e magari il pensiero corre sadicamente a quei poveri sfigati che per millemila motivi devono uscire e affrontare il traffico con quel tempo da lupi.
Ovvio che le cose cambiano quando l'H2O che era fuori ti entra improvvisamente in casa.
Enrico è in cantina e sta osservando i rivoletti d'acqua che scendono lungo il muro; lo guardo e immagino che, al pari mio, stia maledicendo i costruttori di questa casa che, non sappiamo se per incompetenza o tirchieria, ci hanno lasciato in eredità una parete che in caso di piogge abbondanti e prolungate, come quelle di questi giorni, tende a familiarizzare un po troppo con l'elemento e invita in casa acqua mai vista prima. Screanzata.
Fortunatamente la diga di stracci che abbiamo approntato si è rivelata efficace e convoglia allegramente i torrentelli verso il tombino dove un'apposita pompa ributterà l'ospite indesiderato fuori di casa.
Dato che star qui a fissare la diga non è di grande aiuto, me ne torno di sopra e, dopo aver lanciato una rapida occhiata fuori dalla finestra (niente di nuovo, sempre e solo acqua a catinelle), decido di rendermi utile e fare il pane: peso la farina, scaldo l'acqua, aggiungo lo zucchero e prendo il lievito madre dal frigo.
Vorrei che qualcuno mi avesse avvertito dell'odore pestilenziale che sprigiona questo lievito, dicono che col passare del tempo ci si abitua a tutto, però quel pugno nel naso ogni volta che apro la busta non sembra perdere vigore. Lo si potrebbe paragonare a un tecnico del pronto intervento che mangia solo gorgonzola e cipolla cruda ma è molto bravo a far tutti quei piccini intorno a casa che saltano sempre fuori nel momento meno opportuno e rompono parecchio le balle: il rubinetto che perde, la serratura che non chiude bene ecc. Ecco, di fronte a questo lato enormemente positivo, il fatto che non sia proprio l'uomo Menthos passa in secondo piano e lo stesso accade con quel lievito: dopo aver assaggiato il pane prodotto da tale madre, ti tappi il naso e fai quello che devi fare, richiudendo la bustina il più presto possibile.
Una volta introdotti tutti gli ingredienti nella macchina secondo ricetta, spingo start e quella, con gemiti che sarebbero da registrare per la colonna sonora di un film horror, si mette al lavoro. Ottimo, non mi resta che dare una pulita e sistemare la cucina; afferro il sacchetto della farina integrale e, mentre lo sto chiudendo per riporlo, noto sulla parte posteriore dei forellini sospetti...no! No! Ti prego no! Svuoto con mani tremanti il contenuto del sacchetto in una ciotola e la verità è lì che se la ride sotto i baffi, tra la farina  ci sono degli
insetti.
Nel frattempo la macchina del pane sta impastando con entusiasmo e fortunatamente  i cigolii aiutano a coprire i lamenti e le madonne che produco io.
Setaccio attentamente la farina contaminata (ovviamente il problema non è con la farina bianca che si controllerebbe in due secondi ma con quella integrale che è piena di residui e pezzetti di cereali) e alla fine la sentenza è incontestabile, ho trovato tre farfalline.
E' a questo punto che gli anni della mia formazione scout fanno capolino, soprattutto le settimane di campeggio coi boccia, settimane in cui quei terroristi in  erba cercavano di togliermi di mezzo propinandomi pasta caduta per terra, sciacquata sotto l'acqua per togliere la terra e poi condita, soffritto carbonizzato e quindi cancerogeno, nonché fricò avec sputazzi. Essendo sopravvissuta agli orrori culinari più impensabili (ci farò un post prima o poi), non posso fare a meno di pensare che in fondo sono solo tre farfalline, tutte proteine, e poi in forno cuoceranno a 220 gradi per 35 minuti, cosa vuoi che sia! Però mi viene in mente che quel pane dovrebbe mangiarlo anche Rico e lui magari il crostino gusto farfalline non lo apprezzerebbe; poco a poco ritorno in seno alla civiltà e, pur tra sospiri e maledizioni, fermo la macchina del pane e getto il dannato impasto e la farina integrale avanzata nel bidone dell'umido. Fosse per me gli darei fuoco ma l'impasto è bagnato...
Vabbè, niente pane fresco per per cena ma il pane comunque ci vuole, mi rimbocco le maniche e ricomincio tutto da capo (stavolta tutta farina bianca, l'integrale è finita); questa volta le cose procedono senza intoppi; quando la macchina finisce di impastare accendo il forno per la seconda lievitazione ed estraggo il cestello, rovesciando l'impasto sul piano di marmo, peccato che si stacchi anche il perno impastatore. Resto lì per un po' a fissare questo ammasso bianco con un perno metallico che spunta proprio in mezzo; non sono in grado di affrontare subito anche questa tragedia tecnologica, meglio mettere da parte il fatto e concentrarsi sull'impasto. Elimino il corpo estraneo, lavoro l'ammasso per un po' e poi lo metto nel forno tiepido per la seconda lievitazione. Solo a quel punto raccolgo le poche forze rimaste e guardo in faccia la realtà: la macchina del pane si è rotta. Non è che la cosa sia poi così sorprendente, in fondo quando era arrivata a noi l'impastatrice aveva già un bel po' di chilometri, sapevamo che prima o poi sarebbe successo ma, mi chiedo: proprio oggi, proprio adesso, proprio dopo tutto il resto?
Guardo fuori dalla finestra la pioggia che cade senza sosta e vedo sfilare un corteo di macchine, sono quelli che oggi uscivano sotto la pioggia e adesso tornano alle loro casette asciutte e si mangiano il loro pane fresco per cena. Che altro dire: karma.

Non è tutto burro quel che lucida

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È iniziato tutto un paio di settimane fa, quasi senza che me ne rendessi conto; mi stavo guardando allo
specchio e mi sono improvvisamente resa conto di avere la pelle più lucida del solito. Ho scacciato la tentazione di accantonare il problema  nell'angolo "Disturbi stagionali" o in quello "stress", anche perché avrei continuato ad avere bisogno di passarmi lo Scottex sulla faccia a intervalli regolari. Per un brevissimo istante ho anche considerato la possibilità di prendere il toro per le corna, ammettendo a me stessa che ho la pelle grassa perché mangio quantitativi smodati di patatine fritte; questo però avrebbe aperto una porta pericolosa, quella che conduce a una revisione del mio regime alimentare, con conseguente riduzione della dose di droga patatinosa, una soluzione francamente inimmaginabile.
Alla fine ho scelto un compromesso accettabile: mi sarei fatta qualche maschera purificante per aiutare la pelle a tornare in forma (che buona che sono).
Perfetto, penserete voi, emergenza risolta. Magari, dico io che mi conosco. Il mio problema con questo genere di cose è che io parto con le migliori intenzioni, compro un tubetto/vasetto della magica pozione, me lo spalmo in faccia un paio di volte e poi me lo dimentico lì per sei mesi, quando mi torna in mente apro il barattolo e la roba dentro è fossile.
Evidentemente mi serviva un cambio di marcia; mentre mi scervellavo alla ricerca di un'alternativa, mi è tornato in mente che a casa mia, quei due o tre secoli fa, usava farsi delle maschere preparate sul momento usando yogurt e roba simile. Soluzione perfetta: si torna alla natura e al casalinghismo.
Ho fatto la mia ricerca su internet e, in pochi minuti, è saltato fuori un tutorial con la ricetta di una maschera che sembrava fare al caso mio: argilla, oli essenziali, miele, yogurt, riga. Ce la potevo fare.
Una volta acquistata l'argilla in erboristeria, sono tornata a casa, ho preparato gli ingredienti e cercato di nuovo su internet il tutorial che spiegava passo passo come fare.
Adesso, col senno di poi, riconosco che l'errore madornale l'ho commesso in quel preciso momento: c'erano molti video della stessa autrice e, spinta dalla curiosità ne ho aperto un altro. Non l'avessi mai fatto, invece del rilassante mondo del naturale fai-da-te, mi sono vista catapultare in un universo oscuro e terribile, popolato da terribili ingredienti sintetici che pare infestino la maggior parte dei prodotti cosmetici
comunemente in uso. Siliconi, parabeni, PEG, BHT, nomi lunghi quei sette-ottocento metri, che quando arrivi in fondo ti sei già dimenticato l'inizio, insomma un incubo.
Devo anche confessare che io non mi intendo minimamente di queste robe chimiche quindi, se da una parte non mi è difficile diffidare del silicone, soprattutto dopo il martellamento pluridecennale della pubblicità del Saratoga con la donna nuda sigillata nella doccia, non so bene come prendere queste profezie-armageddon in stile "la civiltà si estinguerà se usi quella crema corpo".
Ammetto però che qualche brivido me l'hanno fatto venire, ad esempio leggendo gli ingredienti del burrocacao. Fino a quel momento la sola avvertenza che adottavo nella scelta dello stick era evitare come la peste il prodotto in stile Labello Blu, quello che te lo dai e ti ritrovi con le labbra bianche da affogata (quel look Laura Palmer che francamente
dona a poche); invece leggendo la lista degli ingredienti ho scoperto che il primo componente del mio burrocacao è il Petrolato che, cosa volete che vi dica, anche nella mia chimica ignoranza, già il nome ha un suono che non promette niente di buono.
Continuo la lettura come un naufrago alla ricerca di un burroso salvagente ed ecco che laggiù, in settima posizione, fa capolino un tale Butyrospermum Parkii Butter, che scopro essere Burro di Karité.
Allora, qui ci dobbiamo decidere: se ci metti il petrolato lo chiami petrolburro, poche pippe!
Ma in che razza di mondo viviamo se non puoi fidarti nemmeno del tuo burrocacao?


P.S. La maschera all'argilla invece è andata benissimo. Patatine, a me!

Essere o non Essere: Silvan contro Sandokan

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A voi capita di avere la sensazione che una qualche entità sconosciuta stia guidando i vostri passi, che tutto ciò che fate sia il risultato di un piano preciso, solo non vostro?
La pubblicità che vedete qui a fianco proviene da una delle solite riviste che leggo a colazione e ammetto che, se all'inizio, mi sono lasciata distrarre da font inspiegabili, look pirata, troni da re di Cenerentola ecc, non c'è voluto molto perché mi rendessi conto che i due simpatici crani coronati al centro della scena altro non erano che i contenitori del profumo in questione. Il minimalismo dilaga.
Vabbè, mi son detta, sarà che il look pirata sta tornando in auge e stavo per scrollare le spalle e passare ad altro ma qualcosa (forse le orbite vuote dei teschi o quella frase insensata power is the ultimate aphrodisiac, buttata lì un po' alla boia) me l'ha impedito; guardavo quei crani , quella linguetta d'oro un po' sado sulla bocca, quelle corone, e cercavo disperatamente un senso alla storia che l'immagine avrebbe dovuto comunicare.
Ecco come la vedo io: mentre tu e tuo marito pirata ve ne state stravaccati sui vostri troni a cazzeggiare, arriva un servo con un delicato cadeau che supponiamo essere in riconoscimento/omaggio al vostro status, peccato che il dono consista in due teschi coronati che, non so voi come li vedete, ma io se mi regalano un teschio che inforca i miei stessi occhiali, dopo aver fatto i dovuti scongiuri, vado a spezzare tutti i ditini del mittente. In effetti il re pirata ha una faccia un po' perplessa, lei invece sembra contenta, probabilmente sta pensando che avere una corona di ricambio viene sempre utile.
L'ultimo fastidioso interrogativo che mi tormentava era: cosa diavolo c'entra l'ambientazione piratesca della foto con quella scritta POLICE così discreta?
Ho fatto qualche ricerca e presto svelato il mistero: anni fa quelli della marca di occhiali Police hanno ben pensato di diversificare la produzione mettendosi, tra le altre cose, a creare profumi per lui e per lei, un percorso che ha raggiunto il suo apice creativo con questa ossuta gemma.
Inizialmente la linea strizzava l'occhio a Shakesperare (il riferimento colto è più facilmente individuabile nel profumo apripista della linea che risponde al nome di to be - essere). A lato possiamo vedere un novello Amleto il quale, pur non disponendo del dono della parola, fa suo l'esistenziale dubbio tatuandosi  essere o non essere sul muscoloso bicipite.
Negli anni la linea to be ha seguito una sua, chiamiamola evoluzione, spostandosi fino a toccare nuove vette concettuali, come dimostra la successiva creazione del marchio: to be The Illusionist.
Qui dobbiamo constatare un primo deciso scostamento dal concept di partenza; non ci è dato di sapere se questo inatteso sviluppo sia stato ispirato dall'inossidabile figura di Silvan o, come pare più probabile, dal look di Kabir Bedi in Sandokan, almeno a giudicare dai quattro metri quadrati di matita per occhi che pavimentano la zona contorno occhi del modello.
L'ultimo nato in casa Police è proprio il nostro to be The King and Queen con il quale si chiude, per ora il cerchio.
Per ora, non disperate.




Dalla padella nella brace

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"Sei venuta in macchina?"
Quando a farti una domanda del genere è l'oculista durante un controllo della vista, lì per lì non è che reagisci proprio bene; invece poi basta un secondo e tutto torna alla normalità quando realizzi che l'uomo vuole solo metterti le gocce che dilatano le pupille per controllare il fondo dell'occhio e, giustamente, si preoccupa della sicurezza tua e degli altri.
Oggi è uno di quei giorni che quando suona la sveglia vorresti spegnerla, tirare due madonne e girarti dall'altra parte; peccato che io le madonne non le tiri, quindi posso solo accontentarmi di un lugubre lamento. Dopo mesi di scuse e rinvii, stamattina mi tocca la visita oculistica e poi oggi pomeriggio ho la seduta dall'estetista.
Sparatemi subito e facciamola finita.
Fortunatamente dal dottore mi ha portato Rico quindi affronto baldanzosa la prova gocce anche perché, a parte un leggero bruciore, non hanno sul momento particolari controindicazioni; in compenso dopo un po'
comincio a vedere sempre più confuso e alla fine darei dei punti a Mr Magoo.
Superato brillantemente il controllo (nel senso che sono cecata esattamente come prima) saluto e faccio per uscire; questo è il momento più delicato per chi come me è parte vampiro e  normalmente ha con la luce del sole un rapporto difficile, figuriamoci in pieno giorno e con le pupille a padella...
Con l'aiuto del baldo Farnedi che mi fa da badante arrivo incolume a casa e collasso sul divano, consolandomi al pensiero che tanto tra un paio d'ore sarà tutto finito. Trascorso quel famoso paio d'ore però la pupilla è ancora padellatissima e a questo punto si pone un dilemma: qualche giorno fa ho preso il coraggio a due mani e chiamato l'estetista per prenotare la pulizia del viso che mia mamma mi aveva regalato per il mio compleanno (oltre un mese fa, si vede che non vedo l'ora?), che faccio? L'appuntamento in questione è alle 15.30 ma mica posso uscire così padellata! E se mi ferma una pattuglia per un controllo? Penseranno che sono drogata, mi vedo già in manette. Alla fine decido di andare (molto piano) e, in effetti vedere vedo, son solo i contorni che sono confusi...
Arrivo al centro estetico (come sono tecnica, si vede che a suo tempo ho insegnato inglese nei corsi di formazione per estetiste) e scopro che l'estetista che lavorerà su di me è una mia ex studentessa; mi stendo sul lettino e mi preparato alla sofferenza.
Lei mi chiede quando ho fatto l'ultima pulizia del viso e sto fatto che ci conosciamo mi impedisce di mentire spudoratamente e uscirne con onore, quindi le confesso che l'ho fatta durante un viaggio in Thailandia, sarà cinque o sei anni fa. Lei ride, probabilmente è sotto shock. Inizia la pulizia e parte il seguente dialogo:
Lei: "Ti depilo le sopracciglia?"
Io (poco convinta): "Ok"
Lei:"Uso la cera?"
Risposta che mi verrebbe spontanea:"Boh, io cosa ne so?"
Risposta vera: "Va bene, proviamo"
Ecco, adesso che abbiamo provato, direi che sono a posto con la ceretta alle sopracciglia più o meno fino alla fine dell'eternità. Strapparsi peli sopra gli occhi, magari anche no.
Per fortuna, alla proposta "Ti faccio i baffetti?" avevo già opposto un fermo rifiuto, memore di precedenti esperienze: anni fa le studentesse del corso mi tesero un agguato, chiedendomi di prestarmi per farle impratichire con la pulizia del viso e poi, una volta distesa sul lettino, mi dissero "Prof, con quei baffi non possiamo mica farti uscire!" e mi cerettarono il labbro superiore senza alcuna pietà. Detto labbro superiore protestò contro l'aggressione arrossandosi violentemente, al che mi cosparsero l'area di crema lenitiva di
colore verde per cui alla fine i baffi li avevo comunque, oltretutto color prato.
Una volta superato il cerato scoglio, la cosa è andata avanti e, se escludiamo il momento dello strizzamento dei punti neri, che lo passi domandandoti perché mai questa persona ti odi, la pulizia è stata piacevole, mi hanno massaggiato la faccia, spalmato una maschera che odorava di yogurt ai frutti di bosco e sono rimasta per un po' sul lettino a rilassarmi ascoltando le conversazioni in corso nelle altre salette, tutto sommato poteva andare peggio.
Oggi è stato uno di quei giorni che quando suona la sveglia vorresti spegnerla, tirare due madonne e girarti dall'altra parte e, considerato che alle 10 di sera si nota ancora un parziale padellamento, forse non sarebbe stata proprio una cattiva idea.

I polli in batteria e l'occhio di bue

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Con questo post torno su un argomento difficile e già parzialmente trattato in un precedente articolo: cosa capita quando decidi di andare a vedere un concerto. Abbiamo già analizzato l'universo di quelli che potremmo definire gli incidenti in itinere, adesso occupiamoci di cosa succede quando finalmente ti trovi in loco. Tu, nella tua ingenuità, pensi che ormai il peggio sia passato e intanto il destino è lì che tira i suoi fili e se la ride sotto i baffi. Facciamo un paio di esempi:
1) entri, ordini da bere (hanno la cocacola, niente pepsi per fortuna) e ti siedi a un tavolo, dopo qualche minuto si spengono le luci e inizia il concerto. Mi correggo, si spengono alcune luci perché, per motivi inimmaginabili (ci saranno, senza dubbio, a me però sfuggono), c'è un faro tipo quelli per guidare i naviganti che qualche genio ha puntato sul pubblico invece che sul gruppo che sta suonando. In quel momento ti senti molto vicina a quei poveri polli allevati in batteria a cui lasciano sempre una lampadina accesa tentando di farli mangiare di più; guardandoti intorno ti salta all'occhio quel signore seduto davanti a te che, poco prima del concerto, ti avevano descritto come un frequentatore abituale del locale e dei suoi concerti. Quel signore con il suo cappellino con visiera ben calato in testa che a prima vista ti aveva fatto tenerezza e che ora invece riconosci per quello che è: la prova inconfutabile del fatto che l'occhio di bue in cui ti trovi non è il risultato di un pur comprensibile errore luci, ma di una sadica abitudine dei gestori. A saperlo prima ti spalmavi la crema solare.
2) questa volta il concerto è rock quindi non ci sono sedie, il posto non è enorme per cui siete tutti assiepati intorno al gruppo, come la banca mediolanum. Inizia il concerto e dal palco parte una colonna di suono che è come se ti prendesse a randellate, non puoi vederlo ma i tuoi padiglioni auricolari sono già pieni di lividi; urli "Ma che cxxxo di volume hanno?!!!" a quello di fianco a te ma tanto nessuno può sentirti, i decibel sono talmente spallati che sono diventati centibel, millibel. Tu non puoi saperlo ma quella sera a cena il chitarrista
ha scommesso che riuscirà a fare venire giù l'intonaco dai muri tutto da solo e, in effetti, sembra sulla buona strada.

Alla luce di quanto detto, mi permetto un suggerimento agli amici artisti: se, mentre suonate, notate tra il pubblico più di una persona che pare imitare un quadro di Much, provate a ridurre il volume, magari aiuta.



P.S. Non essendo riuscita a trovare un’immagine soddisfacente per rappresentare il titolo, ho schiavizzato Farnedi facendo leva sulla sua compassione per la mia totale incapacità di tenere in mano una matita. Direi che mi è andata bene, mi sa che il pollo-disegno che vedete nell’articolo sarà il primo di una lunga serie.


P.P.S  Questo articolo è stato scritto per la rubrica L'Angolo dell'Estrema Riluttanza su Stonehand Ex Press

Lo squalo e il bagnante ignaro

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Essendo che ormai lavoro da parecchi anni, è raro che mi capiti qualcosa che non è proprio mai successo prima; quella che mi accingo a narrare è una di quelle rare volte. 
Sto andando a un meeting aziendale a fare della traduzione simultanea senza aver ricevuto prima alcun materiale per prepararmi (e questa non è una novità, sigh) ma, soprattutto, senza neppure avere il programma della giornata. Non ho la più pallida idea di cosa faranno. Buio assoluto. Chi  vivrà vedrà.
Quando finalmente arriviamo in loco dopo un'ora e mezza di viaggio sulla E45 innevata, (buche ovunque, la quintessenza del viaggio rilassante) le cose non migliorano; scopriamo infatti che il nostro convegno inizierà non alle 9 bensì alle 9.30. Impossibile non pensare a quanto ci avrebbe fatto comodo quella mezz'ora di sonno in più e digrignare silenziosamente i denti. Pensiamo alle bollette da pagare e andiamo avanti.
Verso le 9.15 la sala inizia a riempirsi e immaginate la sorpresa quando mi rendo conto che buona parte dei partecipanti sono donne; per quella che è la mia esperienza, quando i quadri dirigenti di un'azienda si incontrano, spesso le donne si contano sulle dita di una mano, quando ci sono. 
Ecco che la giornata comincia a farsi un po' più interessante, se non altro quando alzo lo sguardo sulla sala non c'è quella muraglia di grigio e blu controllore che fa sempre una gran tristezza. 
Nel corso della giornata vengo anche a sapere che, nonostante la crisi economica pesantissima, questa azienda negli ultimi anni è cresciuta notevolmente, è possibile che ci sia una correlazione tra il numero di donne in posizioni di responsabilità e gli ottimi risultati dell'azienda?
Mentre rimugino il concetto, sentendomi molto saggia e consapevole (di cosa non è chiaro), il mio corpo prende prepotentemente il sopravvento: devo fare la pipì. Cedo alle pressioni e mi alzo per andare in bagno; uscita dalla cabina mi dirigo verso l'uscita della sala e spingo la porta, la quale porta però fa finta di niente e non si sposta di un millimetro. Perplessa, riprovo un paio di volte ma poi, visto che sto facendo rumore e dando un po' nell'occhio (un paio di persone si sono accorte di me e stanno osservando la scena come se fosse un film comico), getto la spugna e me ne torno verso la cabina con la coda tra le gambe. 
Ciò (espressione romagnola perfetta per occasioni come questa), io in bagno ci devo proprio andare! Ma cosa fanno, ci chiudono dentro? È sequestro di persona!!!!
Guardandomi intorno vedo che proprio dietro la cabina c'è una porta di quelle col maniglione antipanico e basta una spinta decisa per aprirmi le porte della libertà. 
Una volta risolta l'emergenza toilette, faccio per tornare in sala ma la cosa è più complicata del previsto: la famosa porta col maniglione antipanico si apre solo a spinta e dall'interno! Cosa faccio? Non posso mica rimanere fuori fino alla pausa caffè, tra un po' devo dare il cambio all'Elena, sono già venti minuti che traduce lei...
Comincio a perlustrare le pareti esterne della sala alla ricerca di un'opportunità, un po' come lo squalo che gira intorno al bagnante ignaro; appena dietro l'angolo, noto dei cavi che escono da una fessura, nella parete c'è un pannello scorrevole e spingendo un po' riesco ad aprirlo abbastanza da sgusciarci attraverso con lo stile aggraziato ed elegante della blatta sul muro, il tutto sotto gli occhi attoniti del tecnico.
Torno in cabina e con un sospiro di sollievo faccio segno all'Elena che sono pronta a darle il cambio; prima di iniziare a lavorare, in quel limbo di qualche secondo in cui possiamo comunicare, le annuncio Ho fatto un'altra figura fantozziana, poi ti racconto... dopodiché mi lancio a tradurre.
Mentre buona parte del mio cervello è impegnata con la simultanea, quei due neuroni liberi osservano l'Elena che, raccolti borsa e cellulare, esce dalla cabina. Quando realizzo cosa sta per fare è già troppo tardi, vorrei avvertirla, fermarla, ma sono intrappolata in cabina, non posso smettere di tradurre, non posso alzarmi, posso solo restare a guardarla mentre anche lei tenta ripetutamente di aprire quella dannata porta. 

Cosa volete, ci sono quei giorni così, in cui ti senti nell'ordine: invornita, impotente, su Candid Camera. Speriamo almeno che il buffet sia buono...



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