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La vita del guerriero non è tutta onore e gloria

Il fine settimana appena trascorso è ormai tradizionalmente conosciuto come il weekend dei mercatini di Natale, momento in cui orde di shoppingari agguerriti calano sui paeselli montani, lasciando dietro di sè solo qualche filo d'erba e due bicchieri di vin brulè mezzi vuoti.
Ogni volta che sento l'espressione "mercatini di Natale" mi prende l'ansia, m'immagino inchiodata in mezzo a una folla oceanica mentre, incapaci di muoverci, fissiamo impotenti tre bancarelle che ci sfilano davanti al ritmo di simpatiche canzoncine natalizie, e son sempre le stesse (sia le bancarelle sia le canzoncine).
Va da sè che per portarmi in montagna a uno dei tradizionali eventi di cui sopra devono come minimo puntarmi una pistola alla tempia (se prendono in ostaggio i miei parenti non è scontato che ceda, dovrei prendermi del tempo per riflettere), però c'è un mercatino di beneficenza che non disdegno (meno frequentato e rigorosamente in pianura), trattasi di quello che il Comitato contro la fame nel mondo organizza ogni anno a Forlì.
A questi eventi è sempre meglio andare presto, non solo perché i pezzi migliori spariscono in fretta, ma soprattutto perché i bomboloni e le tigelle che le signore del comitato vendono per autofinanziarsi sono molto richiesti e se vai a mezzogiorno te li puoi scordare. Sabato scorso arrivando per tempo sono riuscita ad accaparrarmi tre confezioni di tigelle, quattro bomboloni e due porzioni di lasagne con verza e salsiccia. Proprio niente male.
Una volta messo al sicuro il mio tessoro in macchina, sono salita al piano di sopra, al reparto soprammobili e affini; qui generalmente si trovano le gemme più preziose del mercatino, autentici capolavori di menti, chiamiamole particolari.
* Declino qualsiasi responsabilità per l'eventuale ispirazione che le immagini  a seguire potrebbero offrirvi per la scelta dei regali di Natale.
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                                                                                            Iniziamo, come si dice, col botto: qui a fare la differenza è l'evidente intento doloso dell'autore: la prima volta che ho visto codesta scultura mi dava le spalle, quindi non l'ho neppure 
degnata di una seconda occhiata, la vista frontale ha cambiato decisamente le cose e ditemi voi se non avevo ragione...

Perché, Signore benedetto, perché?
Il regalo più indicato per colui che necessita un telefono, un orologio e un mulino a vento, tutti insieme appassionatamente.
Colui che ha ideato questo oggetto lo ha curato fin nei minimi dettagli: dalla rotella del telefono che non gira ma vanta tasti modernissimi, fino al materiale che, nonostante l'argenteo colore, altro non è che leggerissima plastica. Ci tengo a precisare che la decorazione dorata sotto l'orologio si muove, presumibilmente a scandire il tempo. Un po' più misterioso rimane il ruolo del mulino a vento le cui pale girano ma non sappiamo se seguano lo scandire dell'orologio o si attivino in risposta allo squillo del telefono. Chi avesse in casa uno squisito oggettino simile a questo è pregato di inviarci un chiarimento via mail (se anonima, lo capiremo).

A questo punto è necessario un momento di raccoglimento, consiglio di fare un bel respiro e prepararsi a qualcosa che onestamente è IN: inspiegabile, inconcepibile, indifendibile e, ovviamente, inguardabile.

L'elmo del guerriero che vedete qui a fianco si trovava su un ripiano basso, seminascosto in un angolo, ancora tremo al pensiero che ho rischiato di passargli davanti senza accorgermi di cotanta...cotanta.
Pur apprezzando il prezzo contenuto dell'oggetto che viene via a soli 12 euri, confesso che in un primo momento il suo fascino mi eludeva ma, avendo già una certa esperienza in questo campo (vedi A caval donato...) non mi sono lasciata scoraggiare e, avvicinandomi per osservarlo meglio, ho notato che non si trattava di un semplice elmo, c'era qualcosa dentro! Ho allungato una mano tremante verso la visiera, combattuta tra la curiosità e l'inquietudine (Non aprite quella porta) e questa si è lasciata sollevare senza neppure un cigolio di protesta; nell'immagine qui sotto potete vedere cosa si celava ben nascosto sotto la visiera.



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La prima cosa che ho notato è stata quell'espressione tra il sofferente e l'incazzato (la faccia di uno che sa di aver combinato un casino di quelli grossi ma è convinto che in fondo non sia colpa sua), solo dopo lo sguardo è salito su, restando inchiodato al
livello del dorato cranio.
Abbracciando la filosofia del bicchiere mezzo pieno (in fondo è quasi Natale), questo è il regalo ideale per convincere il nonno fumatore incallito a smettere di fumare: se ogni volta che vuole accendersi una paglia gli tocca sollevare quella visiera (che già da sola sa di galera) e poi si trova di fronte una faccia così, garantito che dura poco...

Confesso che sarei molto curiosa di sapere se qualcuno ha comprato questo obbrobrio e a quale scopo. Dal mio punto di vista sarebbe stato il regalo perfetto per la nostra tradizionale tombola degli orrori ma le stupide regole del gioco (niente regali acquistati apposta) mi hanno legato le mani, dannazione!

La Genesi dei Biscotti.

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Quella che vado a narrate è la genesi di un pezzo intitolato "l'odore dei biscotti". Non si tratta dell’ennesima pubblicità del Mulino Bianco con Banderas che fa il nonno, bensì di una canzone natalizia, e immagino che, alla sola vista delle parole canzone natalizia stiate già pensando di smettere di leggere, quindi sarà meglio prendere un’altra strada così magari vi distraete e non tagliate la corda.

Qualche settimana fa aveva luogo, tra me e il Farnedi, la seguente conversazione:
F: Mi hanno chiesto di partecipare a una compilation natalizia sul sito di Mescalina.it
E: Bello, ma con una cover o una canzone tua?
F: Non c'è molto tempo, stavo pensando a una cover...
E: E quella cosa dei biscotti che mi hai letto stamattina? Quella fa molto natale...
F: In effetti...

Partendo da quel dialogo e da due righe biscottose, passando per un buttasù di parole, frasi e madonne che non sto a dirvi, siamo arrivati al testo definitivo della canzone. La cosa di cui sono più fiera è che l'abbiamo scritta insieme e tutto senza spargimento di sangue. C'è sempre una prima volta.
Generalmente, quando Farnedi mi sottopone un testo nuovo, io entro nel mode revisione e faccio la radiografia a ogni singola parola, con conseguente lista di quello che secondo me va modificato (sono veramente simpaticissima). Per quanto incredibile possa sembrare, non ha mai cercato di uccidermi.
Perché, ammettiamolo, quando scrivi qualcosa e poi ti senti dire che anche solo una frase non funziona, non è che la prendi bene subito; quando lui legge i miei articoli e mi dice che una parte è lenta, va accorciata ecc ecc, come prima cosa gli darei una padellata, poi ci rifletto e magari ha ragione ma mi resta sempre un po' di amaro in bocca, è come se stesse dicendo che mio figlio è brutto.
Chissà forse questa volta ci ha salvato il fatto che lo scarrafone era di tutti e due...

Ovviamente però una canzone non è solo testo, quindi il musico è entrato in clausura creativa per un breve
periodo (anche se alla fine l'idea chiave gli è venuta al volante), uscendone con la parte musicale bella e finita.
Nel mezzo della fase di registrazione, è salito dalla cantina e mi ha chiesto se volevo fare qualche coro, specificando quanto segue: Lolli ha già registrato le tre voci, tu devi semplicemente rifare la terza, quella più acuta.
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Ora, non ho dubbi che l'intento fosse quello di rassicurarmi sul fatto che dovevo solo ascoltare e ripetere come già fatto in passato (vedi E un giorno ti svegli e sei il gatto con gli stivali), però forse Farnedi non aveva considerato che il prode Riccardo Lolli si arrampica su per le note come l'Uomo Ragno per i grattacieli: vede una nota lassù in cima a un palazzo avvolto nella nebbia, lancia la sua tela di ragno e quella lo guida senza sforzo alla vetta da conquistare. Io più che altro sono Mr Magoo che cammina sulla trave sospesa nel vuoto, brancolo nel buio sperando di prenderci.
Alla fine ci ho ho cavato le zampe, però provate a immaginare per un momento la tensione che sente una maniaca del controllo quando si trova a cantare ma non sa che note sta cantando: andavo a orecchio, non sapevo mai se mi ricordavo giusto, se le note erano quelle o me le stavo inventando, una sudata...
Comunque tutto è finito bene, la registrazione fatta, il testo pronto, tutto era gioia e gaudio e la vita tornava a sorridermi, almeno fino a quando il gigino è venuto da me e mi ha detto: "Il 23 la canto al concerto di Natale al Pappafico, vieni a fare i cori?"
Se mi perdonate l'espressione, mi sto cagando addosso.

P.S. Ecco il link della compilation, ci sono 51 canzoni in download gratuito (la nostra è la n. 20). Andate e scaricate :)

P.P.S. Questo articolo è stato scritto per la rubrica L'Angolo dell'Estrema Riluttanza su Stonehand Ex Press


Calimero a Natale sugli anelli di Saturno

Sono le 18.45 e sono in salotto in attesa che passino a prendermi per andare al Pappafico: oggi è il D-day (per l'antefatto vedi La Genesi dei Biscotti). Nel corso dell'ultima settimana ho alternato momenti di panico (noncivadononcivadononcivado) a brevi momenti di panico (noncivadononcivadononcivado), tutti rientrati anche grazie alle parole confortanti di Farnedi: sarà una cosa divertente, pensa che siamo tra amici, è come una festa.
Il coro di ululati canini che si alza all'improvviso è più efficace di qualsiasi campanello, devono essere arrivate. La macchina mi aspetta col motore acceso, la Piraccini è al volante mentre nel posto del morto c'è la Gloria, fresca di laurea. Io mi sistemo dietro un po' intimidita, sul sedile di fianco a me c'è una Birkin bag e mi chiedo se devo accennare una riverenza, o magari baciare il manico, il galateo della it-bag ancora non mi è chiaro, cerco almeno di star seduta composta, sai mai...
Essendo il 23 di dicembre, l'invasione di lucine natalizie è ormai completa e il semplice tragitto Cesena-Cervia offre scorci a dir poco impressionanti, per me ci vedono dallo spazio.
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Arriviamo al Pappafico mentre il gruppo sta finendo di sistemare gli strumenti, non senza qualche difficoltà (i musici sono in cinque e non c'è molto spazio) quindi in attesa che siano pronti ci sediamo intorno a un tavolo a far due chiacchiere. Dopo un po' Farnedi mi chiama per provare le DUE canzoni a cui parteciperò; sì, perché qualche giorno fa mi ha chiesto di cantare anche una canzone di natale (si tratta in fondo del concerto natalizio), o meglio, LA canzone di Natale, quella sulla renna Rudolph che io adoro (vedi  l'ukulele con la barba bianca è una renna col naso rosso). Può sembrare assurdo ma cantare questa canzone da solista mi fa meno paura che cantare un coro ne "L'odore dei biscotti", immagino sia il fatto che la conosco bene e sento che potrei cantarla anche sotto un bombardamento mentre l'altra è nuova nuova e ogni volta che provo sto benedetto coro, riuscire a farlo giusto è un po' un terno al lotto.
Tornando al presente, mi avvicino ai musici, sperando vivamente di non finire fulminata da uno dei millemila cavi che corrono per ogni dove e mi sistemo a destra di Gasperoni, il quale mi porge il suo microfono, peccato che questo emetta fischi assordanti ogni volta che sbatto le ciglia o respiro, l'unica posizione che sembra tollerare è quella in cui sono girata verso la cucina. Farnedi medita sul problema tecnico per qualche secondo, poi se ne esce con: se ti metti qui davanti il fischio non c'è di sicuro! Eh, certo, il gruppo sta dietro e io lì davanti da sola nella fossa dei leoni, ci manca solo l'occhio di bue, non credo proprio!
L'uomo pirulla un po' col mixer e mi fa dire cose al microfono poi proviamo la canzone dei biscotti. Giuro che per tutta la canzone non mi sono mai sentita, cioè, non è che il microfono fosse semplicemente spento, la sensazione era che ingoiasse la mia voce, io cantavo ma mi pareva di non produrre nessun suono, sembrava un episodio di Ai confini della realtà.
Altro pirullamento di manopole del mixer e poi proviamo Rudolph e alla fine il commento è: "ok, siamo a posto" A posto? Ma dove? Ma se non mi sento? Ma fai apposta?  Vedo che fa sul serio quindi me ne torno a sedere un po' dubbiosa ma comunque rincuorata dalla decisione che ho appena preso nella privacy della mia testa: se non sono sicura del coro taccio e riprendo appena possibile, a volte la migliore musica è il silenzio.
Una volta iniziato il concerto, il mio fragile equilibrio ha iniziato a dare segni di cedimento; forte del fatto che le mie canzoni erano piuttosto avanti sulla scaletta, riuscivo ancora a tenere a bada l'ansia ma la situazione degenerava rapidamente; forse riuscite a farvi un'idea del mio stato d'animo se vi confesso che la Piraccini aveva lasciato lì mezzo piatto di patatine fritte e io non l'ho neanche degnato di uno sguardo.
Quando Farnedi mi ha fatto cenno che era arrivato il mio turno mi sono alzata un po' a fatica (in questo caso a paralizzarmi non era tanto il panico quanto tutta quella gente ovunque che non riuscivi neanche a spostare la sedia per alzarti), aggrappandomi al pensiero che la prima canzone era Rudolph, ce la potevo fare.
Chi mi osservava mi ha poi raccontato che sembravo la versione, diciamo matura, di Calimero. Con il senno di poi avrei dovuto preparare un cartello con su scritto NON FATE DEL MALE ALLA MIA FAMIGLIA.
L'unica cosa che ricordo della canzone è che non sapevo dove guardare, c'era sempre della gente che mi fissava; fortunatamente il manipolo di amici presenti mi aveva portato una mascotte con cartello di supporto e la cosa mi ha molto confortato (e comunque il locale era imballato di gente, di scappare non se ne parlava...), ho cantato Rudolph dall'inizio alla fine e, vista la situazione, per me era già un successo...
Compiuta la prima erculea impresa mi sono accasciata sulla sedia tentando di non pensare che la vetta più alta era tutta da conquistare, in fondo mancavano ancora parecchie canzoni...
Presto, troppo presto, sono stata richiamata su ed è andato tutto come la volta prima: mi sono alzata, ho affiancato Gasperoni e afferrato il microfono. A quel punto e solo a quel punto Farnedi si è girato verso di me e senza un pensiero al mondo ha pronunciato le seguenti parole: "No, va là, Estrema torna a sederti, adesso facciamo venire su l'Eloisa Atti a cantare una canzone, tu canti dopo"
Mentre tornavo al tavolo il mio primo pensiero è stato: a l'ho da mazè*. La seconda riflessione era un po' più articolata: mi tocca andare su a cantare dopo che ha cantato l'Eloisa, a l'ho da mazè**
Pensavo di aver raggiunto la stratosfera dell'ansia quando l'uomo ha aggiunto: "Poi già che è venuta a trovarci, facciamo un pezzo anche con la Gloria Turrini"
A quel punto l'ansia poteva toccare gli anelli di Saturno.
Della parte dopo non ricordo molto, so solo che ho iniziato bene ma poi, non so come, a un certo punto non sapevo più dove mi trovavo e dalla mia bocca son venute fuori cose che voi umani...
Sono ristrisciata verso la mia sedia e mi sono accasciata lì come uno straccio bagnato, in un modo o piuttosto nell'altro, il dado era tratto.
Anche se il mio ultimo post su Stonehand è piuttosto recente, ho deciso di scrivere immediatamente il resoconto della serata onde mantenere un minimo di obiettività sulla faccenda; già quella sera Farnedi aveva cominciato a dire che in quel punto avevamo stonato tutti (Lolli no che non è capace), che ci aveva confuso lui attaccando con una nota diversa, insomma, a lasciarlo continuare avrebbe tentato di convincermi che io non c'entravo niente, che era tutta colpa sua, magari che era stato lui a insegnarmi le note sbagliate giorni prima...
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Alla fine, guardando la cosa da una certa distanza, sono contenta; certo non è venuto un gran bel lavoro ma, nella lunga battaglia per sconfiggere il panico da canto in pubblico, ho assestato un buon colpo al nemico e poi non dicono forse che è la goccia che scava la roccia?


* Traduzione dal romagnolo all'italiano: lo devo uccidere.
** Per chi non avesse chiaro il motivo di tanta ansia è sufficiente pensare a come si sentirebbe se lo chiamassero, per una serie di coincidenze, a tirare rigori per intrattenere il pubblico nell'intervallo di una partita di serie A e, arrivato il suo turno, gli dicessero:" Aspetta un momento che prima facciamo tirare Francesco Totti e Rodrigo Palacio" (conosco solo questi due nomi qui, chiedo scusa agli appassionati).

P.S. Se volete sentire la canzone vera (lo dico soprattutto per chi era al Pappafico) cliccate qui
P.P.S. Questo articolo è stato scritto per la mia rubrica L'angolo dell'Estrema Riluttanza su Stonehand Express

Impara le carte e mettile da parte

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Sono le cose che non ti aspetti quelle che davvero lasciano il segno, quelle che come diceva Shirley MacLaine in Tutte le ragazze lo sanno, "ti colpiscono al di sotto della tua percezione".

Siamo stati invitati per una merenda-cena a casa dell'Elisa e Gianluca e, come sempre, avendo preso le cose con un po' troppa calma siamo arrivati tra gli ultimi (per una volta non proprio gli ultimi, grazie Claudia e Filippo).
Il primo problema si è presentato appena parcheggiata la macchina, la casa di fronte a noi aveva due campanelli diversi e non era chiaro quale dovessimo suonare. Ci siamo avvicinati al primo campanello ma una rapida occhiata non ha fornito alcun indizio, "Sarà questo?" ho chiesto dubbiosa a Rico. Prima che potesse rispondere, una voce che pareva venire dall'oltretomba ha squarciato il silenzio: "Entrate da qui, poi girate intorno alla casa" Poltergeist, Non aprite quella porta e Mary Poppins, tutto insieme.
Appena varcata la soglia si è chiarito il mistero: avendo scoperto che il campanello non funzionava (c'era chi era rimasto fuori per parecchio), l'eroico padrone di casa se ne stava attaccato al videocitofono in attesa degli ospiti.
Dopo il rituale scambio di auguri con tutti gli amici e parenti presenti abbiamo preso posizione intorno al tavolo dei dolci con una tazza di cioccolata calda in mano mentre la chiacchiera dilagava.
Dato l'alto numero di bambini presenti, i padroni di casa avevano organizzato una tombola e preparato alcuni premi (rigorosamente per i bambini, noi vecchi siamo sempre discriminati); io ovviamente non mi sono lasciata sfuggire l'occasione di liberarmi di uno dei premi più orrendi che mi erano rimasti attaccati dall'ultima tombola degli orrori che si era tenuta a casa nostra la vigilia di Natale.
Ci tengo a precisare  che la sottoscritta in quell'occasione aveva goduto del favore degli astri, non vincendo alcun premio, peccato che una certa altra persona che non stiamo a nominare avesse vinto la qualunque (vedi foto); a questo si aggiunge il fatto che alcuni lestofanti proprio prima di andarsene avevano imboscato i premi vinti un po' ovunque. Il premio che mi accingevo a sbolognare era stato scoperto appeso allo specchietto laterale della mia Fiesta: una deliziosa collana con pendente, il pendente essendo il cambio di una bicicletta. Molto Mad Max.
Una volta archiviata la tombola (l'ambito pendente è andato alla padrona di casa) ho raggiunto Rico che stava facendo un solitario con le carte romagnole e così, per divertirmi, mi sono offerta di leggergli le carte con un metodo assolutamente infallibile insegnatomi alcuni lustri fa (non diciamo quanti) da una compagna alle elementari.
Il metodo è così strutturato: io mescolo le carte mentre colui (o colei) a cui leggo le carte pensa a quella che gli piace (metodo delle elementari). Successivamente il colui di turno alza il mazzo e io lo ricompongo pronunciando la magica formula: corno, bicorno, tricorno. Compiuto l'indispensabile rituale scopro le carte due a due e, se escono due carte uguali, le metto da parte per poi interpretarle. Il tutto va ripetuto tre volte, un metodo chiaramente a prova di bomba.
Ho iniziato la lettura e dopo un po' qualcuno si è avvicinato per ascoltare. "Ma sai leggere le carte?" mi hanno chiesto. Io ho risposto ridendo che mi stavo inventando tutto eppure, poco a poco, si sono avvicinati altri e mi hanno chiesto di leggere le carte anche a loro; era iniziata come uno scherzo ma ho avuto come l'impressione che in qualche modo quello che stavo dicendo potesse essere preso sul serio, nonostante io continuassi a ripetere che era una roba che facevamo alle elementari.
Dopo l'ennesima lettura in cui un cinque di coppe è stato in grado di infiammare gli animi, mi sono
sentita chiedere ancora:"Ma dici sul serio?!" Al che ho sgranato gli occhi e ribattuto."Ma no! Me lo sto inventandooo!!"

Allora le cose sono due: o io ho un enorme potenziale come cartomante oppure il bisogno di sapere qualcosa del futuro è più forte di quanto pensassi. Tutto considerato, tra le due preferisco la prima, d'ora in poi chiamatemi Estrema Veggenza.

L'inebriante profumo dell'ammore

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Direi che è arrivato il momento: dopo aver sopportato quattro lunghe settimane di Natale del Mulino Bianco e in attesa dell'arrivo della maletta di San Valentino che sgardella gli zebedei anche ai più tolleranti, ci troviamo in un momento tranquillo in cui si può prendere il fiato in attesa della prossima battaglia, un po' come se fossimo nell'occhio del ciclone dove tutto è calmo e immobile ma sai già che non dura.
Siamo quindi nello stato d'animo più giusto per il post che va a incominciare. Rilassatevi e non pensate a niente ma tenetevi forte, quello di oggi è un tuffo nel magico mondo del fotoromanzo.
Come altre volte in passato, questa ventata di romanticismo arriva da una delle mie solite riviste da colazione, troppo spesso ingiustamente bistrattate.
Immaginate il nostro lui, tale Le Male, un tipo alto, fiero, con quel fisico asciutto che solo i lupi di mare possiedono; essendo tornato single decide di prendersi una vacanza e sceglie la novità della località sciistica e il glamour di Cortina a Natale. 
Appena arrivato in hotel si fionda verso il bar, (non sappiamo se per annegare la sua malinconia da single o a scopo pastura) e subito s'imbatte in due deliziosi quanto insoliti bocconcini: una è chiaramente una donna-giraffa thailandese con tanto di anelli d'oro al collo mentre l'altra, nonostante tenti di nasconderlo vestendo rosa da capo a piedi, probabilmente gioca professionalmente a rugby perché ha due spalle che neanche Schwarzenegger. La cosa lo manda inspiegabilmente su di giri (il fumetto recita così: "È la mia prima vacanza da single dopo tanto tempo. Da quel che vedo le distrazioni non mancheranno").
Neanche a dirlo, dopo una gufata così la prima tipa in cui s'imbatte al momento dell'aperitivo (lo deduciamo dalla mise più formale che indossa) è la sua ex, Valentina, che ancora spasima
per lui e che gli si para davanti tutta in pelle nera e stivalata impedendogli il passaggio e tentando un approccio da mangiauomini totalmente vanificato dal ridicolo cappellino sulle ventitre che indossa. 
Lui dal canto suo se la tira un casino e le rifila il classico "Restiamo amici" che è quasi un'istigazione alla badilata, lei però incassa senza fare una piega. 
Il giorno seguente al palazzo del ghiaccio il nostro Le Male trova un telefonino e, mentre sta slumando la foto della proprietaria,  la Venere in questione si palesa, sfrecciandogli davanti sui pattini da ghiaccio. 
Mon dieu! È la donna-giraffa! Deve assolutamente conoscerla! Qui entra in gioco il solito amico-spalla del bel tenebroso che col pretesto di restituire alla donzella il perduto cellulare, combina ai due un appuntamento al buio sulle piste innevate.
Inevitabile colpo di fulmine dei due protagonisti baciati dal sole e ammore per ogni dove. 
L'ultima immagine con cui i due cuoricioni si congedano dai lettori li vede circondati da tutti i loro amici  e romanticamente abbracciati su una slitta trainata da due renne, una delle quali, se la vista non mi inganna, ha il naso rosso.
FINE


P.S. Se questa storia non vi è piaciuta, si vede che non siete per niente romantici e non riuscite a sentire l'inebriante profumo dell'ammore.


A volte l'unica scelta è tra lo Xanax e Peppa Pig

Tutto è partito da un post  su facebook in cui si menzionava la telenovela spagnola Il segreto, attualmente in onda tutti i giorni su canale 5.
Il principale problema con questo tipo di programma è che magari inizi, come nel mio caso, per fare un po' di pratica con lo spagnolo (la telenovela ha il doppio audio) ma dopo un po' cominci a divertirti parecchio (come ti dicevano una volta: tu pensi di poterlo prendere e lasciare quando vuoi ma poi ti accorgi che non è così facile): c'è LA CATTIVA che è veramente cattivissima e se ne sta tutto il giorno a ordire piani diabolici che regolarmente il destino manda gambe all'aria (ricorda un po' l'Artiglio Mascherato de La Corsa più Pazza del Mondo), l'INVORNITA che viene raggirata ogni tre per due e ogni volta abbocca all'amo come un paganello, il SACCO DELLE BOTTE a cui comunque va sempre tutto storto, e così via.
Tornando al post in questione, in quelle poche righe si faceva esplicito riferimento alle imminenti nozze dei due protagonisti Tristan e Pepa.(notoriamente i BUONI il cui ammore smisurato ha incontrato una tale caterva di ostacoli che francamente viene da pensare a un segnale divino in stile Final Destination, un'enorme scritta al neon che recita MA ALLORA NON STAI CAPITO! 
Uno dei primi commenti che sono comparsi sotto il post recitava pressapoco così: non si sposano...sono fratelli!!!!
Ora, il commento in questione appartiene alla grande tradizione degli spoiler, cioè quei commenti che ti rivelano cose ancora non successe in una serie tv, una saga ecc.
La domanda che mi sorge spontanea è: ma te l'ha ordinato il dottore? Tengono in ostaggio la tua famiglia? O forse è una maledizione come in The Ring e l'unico modo per sopravvivere alle informazioni che hai ottenuto è rifilarle ad altri?
Il problema ha radici lontane che affondano negli anni in cui ancora non usavamo Internet e quindi c'erano meno possibilità di ottenere queste informazioni; i fortunati che si potevano permettere un viaggio oltreoceano al loro ritorno ostentavano la loro superiorità rivelando alle masse di meno abbienti futuri scenari e colpi di scena della serie in voga al momento. Il punto è che adesso chiunque voglia avere anticipazioni su un determinato programma le ottiene con un paio di click del mouse, quindi....
Che poi qualcuno dovrebbe spiegarmi in che modo il fatto di sapere prima cosa succede migliora l'esperienza, perché non è che la seconda volta che guardate Psycho sia meglio.
Per concludere lancio un accorato appello: se vi viene l'ansia all'idea di non sapere prima cosa succederà nella vostra serie preferita, non mettete in mezzo noialtri innocenti, prendete uno Xanax oppure cambiate canale e guardate Peppa Pig!



Bovi sacrificati nel giorno del fagiano

Questa volta non posso proprio lamentarmi, le cose si sono incastrate tutte perfettamente, sembrava una di quelle partite a Tetris in cui ti arriva il pezzo a L proprio nel momento in cui ti serve e, in un colpo solo, spazzi via due righe intere quando ormai ti vedevi spacciata. Gioia e gaudio ovunque.
Sabato 18 gennaio Eloisa Atti presentava la sua ultima fatica: il CD Penelope, dodici canzoni liberamente ispirate alle gesta cantate nell'Odissea di Omero, lavoro di cui ho già parlato in passato (vedi Per le balle di paglia citofonare Gatto).
Avevamo già segnato la data in agenda (tra l'altro Farnedi avrebbe partecipato al concerto, avendo lui cantato la canzone Argo) quando mi è arrivato l'invito per la festa di compleanno di mio nipote Federico, mandando momentaneamente tutto all'aria; poi però, pensandoci meglio, mi sono resa conto che sarebbe stato possibilissimo partecipare alla festa di compleanno (pomeridiana) a Imola e poi da lì raggiungere Traversara, piccolo paese in provincia di Ravenna, dove si sarebbe tenuta la serata. Come dicevo, un incastro perfetto.
Quando siamo arrivati alla festa c'è stato giusto il tempo di far due chiacchiere e poi è iniziato lo scartamento dei regali; io avevo davanti agli occhi una meravigliosa ciotola di patatine che mi chiamava come le famose sirene di Ulisse ma mia nipote Valentina mi aveva fatto capire che c'era un tempo per scartare regali e un tempo per mangiare  per cui finché si scartavano regali, patatine ciccia. Peccato che la montagna di regali in salotto fosse degna di Messner. Fortunatamente la mia secondina in erba ogni tanto si distraeva, permettendomi così un'incursione nella dorata bontà, almeno fino a quando non mi ha beccato con due patatine in bocca.
Una volta finito lo scartamento noi barbari ci siamo buttati sul buffet che, oltre la torta di ordinanza, vantava pasticceria mignon dolce e salata, le citate patatine e....paté di fagiano. Sì perché il suocero di mia sorella è
appassionato di cucina e quel giorno aveva preparato il paté; il fatto che i bambini non degnassero il fagiano di uno sguardo, buttandosi con gioia su pane e robiola mi ha fatto pensare che in casa si sia raggiunto un compromesso per cui Ferruccio dà libero sfogo alla sua vena artistico-culinaria ma offre sempre ai nipoti un'alternativa-bambino. Il paté comunque era strepitoso e penso si sia capito da come calavo sul vassoio come un'avvoltoio a intervalli di massimo cinque minuti (un po' di tempo mi andava via per le patatine).
Per fortuna in questo caso, restando in zona salotto, non mi sono trovata a interagire con la collezione di peluche moderni che mia nipote tiene in camera sua e che trovo francamente inquietanti; non fraintendetemi, non ho niente contro il tipico orsacchiotto peloso, però la roba che si muove da sola mi mette un po' a disagio e questi cosi che nel più assoluto silenzio della cameretta girano la testa e se ne stanno lì a fissarti mi ricordano molto La Bambola Assassina. Chucky per me no, grazie.
Verso le 18.30 abbiamo salutato tutti e siamo ripartiti verso Traversara e il Circolo Amici della Musica, luogo che se fosse a Londra potrebbe ricordare uno di quei club super esclusivi che per entrarci devi avere come minimo tre quarti di sangue blu, la carta di credito di platino e rubini e conoscere almeno uno stilista-chef-scrittore di grido, nonché disporre del codice supersegreto da sussurrare all'ingresso. Trovandosi invece a Traversara è semplicemente un luogo il cui ingresso privo di insegna risulta introvabile ai più (leggi me), perlomeno la prima volta.
Una volta raggiunta la sala, Farnedi si è unito al gruppo per una rapida prova, poi ci siamo seduti a tavola e abbiamo cenato con un ottimo piatto di tagliatelle al ragù...di  fagiano. Si vede che era giornata.
Durante la prima parte del concerto ho fatto un po' fatica a concentrarmi, tutto per colpa di Marco Bovi che suonava la sua chitarra in una posizione assurda con i piedi impilati uno sotto l'altro, sempre con l'aria di chi sta per cadere ma è troppo preso dall'assolo per fare qualcosa al riguardo. Poi alla fine aveva ragione lui perché non è mica mai caduto...
Segnalo un altro momento comico durante il concerto quando Eloisa, facendo una breve introduzione alla canzone successiva, ha menzionato il fatto che i Proci a Itaca si davano alla pazza gioia a spese di Ulisse, bevendo il suo vino, sacrificando bovi...
Evidentemente i Bovi che suonavano da dio la chitarra li lasciavano stare...
La serata si è conclusa come sovente accade in inverno dalle nostre parti: ritorno a casa nella nebbia più fitta del mondo con la sottoscritta che sforzava gli occhi maledicendo il momento in cui si era offerta di prendere la macchina, tutto questo mentre Farnedi rilassatissimo sedeva lato passeggero.
A conti fatti mi è comunque andata meglio che al fagiano.


P.P.S. Questo articolo è stato scritto per la mia rubrica L'angolo dell'Estrema Riluttanza su Stonehand Express



Estremo Oriente con Estrema Riluttanza

Io e la Cambogia abbiamo un rapporto tormentato, pieno di alti e bassi: in questo momento il basso arriva quasi al centro della terra. Sono le 6.20 e sono nella lobby del nostro superhotel in attesa che passi a prenderci la navetta che ci portera alla stazione del bus dove prenderemo un torpedone direzione Battambang (questa tastiera non ha gli accenti, portate pazienza).
Veniamo al basso in questione: ieri pomeriggio siamo andati al la reception a prenotare il viaggio e ci hanno detto che, nonostante il bus parta alle 7.30, la navetta deve fare un giro lungo per passare da tutti gli hotel quindi per sicurezza e meglio essere pronti alle 6.30 e attendere. Strabuzzamento di occhi seguito da rassegnato cenno di assenso, l'organizzazione non e il loro forte. Ieri sera puntiamo la sveglia alle 6 e andiamo a dormire. Stamattina ALLE ORE 5.50 veniamo tirati giu dal letto da potenti colpi, qualcuno sta bussando alla nostra porta. Apriamo decisamente intontiti e c'e un tizio che ci dice che l'autista e arrivato.
ALLE 5.45? MA SIAMO IMPAZZITI?!!! (Toglitemi tutto ma non il sonno, divento una belva)
Ci alziamo e finiamo alla boia la valigia, la trasciniamo fino alla reception e sono le 6.20, dieci minuti prima del previsto. Il tizio alla reception ci dice che l'autista intanto e andato a prendere altri, quindi dobbiamo aspettare...Io odio anche lui.
Dato che devo aspettare mi metto a scrivere questo post ma ovviamente non dura: arriva l'invornito della reception a dirci che dobbiamo ancora pagare una notte e a questo punto vi prego datemi un mitra.
Ieri mattina siamo andati alla reception per pagare e ci hanno detto che dovevamo pagare in contanti perche il tizio non sapeva/poteva usare il macchinino della carta di credito, siamo tornati nel pomeriggio e fortunatamente la cosa si e risolta, almeno cosi pensavo. Per fortuna tengo sempre tutto, eccetto i dentini da latte, quindi abbiamo risolto anche questa.
Adesso partiamo e speriamo bene, lo shuttle pare sia un furgone attaccatto a una moto...

La Tana delle Tigri si trova a Ko Chang

Sono stesa a pancia in giu sopra un lettino da massaggi, mi hanno coperto con un telo e una signora piccola
ma tamugna mi sta causando tutta una serie di  dolori al polpaccio. Come diavolo ci sono finita qui? Presto detto: in quest`ultima settimana di vacanza in Thailandia abbiamo optato per il cazzeggio; dopo il caos di Bangkok e la polvere della Cambogia ci siamo detti che ci meritavamo una settimana di totale nullafacenza e abbiamo scelto a questo scopo l`isola di Ko Chang. Ovviamente non e` colpa di Ko Chang, ovunque tu vada in Thailandia ci sono centri massaggio che non sono posti equivoci come si potrebbe pensare ma rispettabili centri in cui offrono massaggi di vario genere: tradizionale, con l`olio, ayurvedico ecc.
Quello dei massaggi thailandesi e` un problema con cui mi sono gia confrontata nel corso di precedenti vacanze concludendo che io e il massaggio tradizionale thai non siamo fatti l`uno per l`altra: cosa volete che vi dica, pagare dei soldi per farsi riempire di botte a portarne i lividi per giorni non e` la mia idea di relax, mi sbagliero`...
Ricordo che una volta anni fa in Thailandia vidi Enrico mentre lo massaggiavano: lui completamente vestito teneva le mani dietro la nuca mentre una signora alle sue spalle gli piantava un ginocchio nella schiena e gli tirava indietro i gomiti. A dispetto di qualsiasi logica Farnedi sembra apprezzare questo trattamento che in altre culture porterebbe a una denuncia per lesioni quindi non gli posso dire niente, mi limito a strabuzzare gli occhi incredula.
Tornando a me, questa volta ho cercato di fare le cose per bene, precisando "NO TRADITIONAL THAI MASSAGE, I WANT OIL MASSAGE" come se cambiasse qualcosa...
La signora comincia massaggiandomi un polpaccio con l`olio e all`inizio e` anche piacevole, poi pero` senza alcun preavviso la sua mano si trasforma in un artiglio che per due secondi strizza il mio muscolo con selvaggia ferocia e mi viene da chiedermi come sia possibile che una donna tanto piccola possa stringere tanto, non avra` una protesi in acciaio al posto della mano? Tipo Terminator? Perche` almeno si spiegherebbe come riesce a darti la sensazione che un suo dito ti sta penetrando nella schiena e presto ravanera` nei tuoi organi interni.
E non dimentichiamo quando mi fa mettere seduta con le mani dietro la schiena e, prendendomi in una morsa cosi letale che l`Uomo Tigre avrebbe preso appunti, mi fa inarcare la schiena e, non so bene come, mi trovo a testa in giu e con i piedi per aria.
Come dice Rico, quando esci dopo un massaggio di questi ti senti piu` leggero; confermo ma sospetto sia per il sollievo di aver portato a casa la pelle anche questa volta.

Adesso resta solo da vedere quanti lividi avro` domani, quella famosa volta anni fa ne avevo quattro, tutti a forma di polpastrello.

P.S. Sono ancora in loco e alle prese con una tastiera thai, quindi gli accenti dovrete immaginarveli voi...

Estremo Oriente con Estrema Riluttanza: gli inizi

Partenza prevista per venerdì 7 febbraio ore 13.40, volo con destinazione Bangkok e scalo a
Mosca (il biglietto costava meno); nei giorni precedenti la frenesia nell'aria era palpabile, tutto molto last minute, troppe cose da fare e troppo poco tempo per farle.
Data la premessa, mi aspettavo il disastro e invece, se escludiamo il fatto di esserci dimenticati il sacco dell'umido dentro casa (un pietoso genitore s'è incaricato della cosa), mi sento di dire che questa volta la partenza è stata una delle più tranquille che io ricordi.
Ovviamente il viaggio aereo è tutto un'altro discorso e non solo per colpa nostra; dal momento in cui varchi la soglia dell'aeroporto entri in un universo parallelo in cui tutto costa dieci volte di più, il cibo sa di plastica o gomma (se è morbido) e improvvisamente l'acqua minerale diventa questo pericolosissimo nemico e se te ne trovano una bottiglietta in borsa te la sequestrano con quel fare da squadra narcotici che ha appena pizzicato un grosso spacciatore, per non parlare dei muri, tutti uguali, le sedie, tutte uguali, sembra di essere appena passati di lì e invece è mezz'ora che cammini per arrivare dal terminal B al terminal ZX e hai probabilmente macinato qualche chilometro.
La ciliegina sulla torta arriva quando sali sull'aereo e comincia la rumba di snack/bibite, pranzi cene colazioni, ad orari che con il ciclo di vita umano hanno ben poco a che fare. Questa volta abbiamo pranzato verso le 15 mentre la cena, causa ritardo del secondo volo, ce l'hanno servita verso l'una di notte e alle 3 hanno spento le luci per "dormire", salvo poi riaccenderle alle 5. Sadici.
Del menu ricordo solo un pomodoro ciliegino che sapeva di giuggiola, il formaggio arancione e, per colazione, lo stesso pollo a fette della cena affiancato a un pancake che era un masgotto (leggi pallotto, ammasso densissimo) inaffrontabile.
Comunque, nonostante tutto, siamo arrivati interi dall'altra parte del mondo ed essendo la nostra terza volta in quel di Bangkok, nel giro di qualche ora avevamo trovato un albergo, fatto una doccia e consumato il nostro primo pasto in loco, seduti ai tavolini di plastica di uno dei mille ambulanti che vendono cibo per le strade della città.
I due giorni successivi li ho trascorsi lottando con l'inevitabile jet-lag; fortunatamente in Thailandia il wi-fi è ovunque quindi anche alle 3 di notte, stesa a letto nel buio della mia camera mentre qualcun'altro (maledetto) dormiva beatamente, potevo mandare messaggi e navigare in attesa dell'alba. Va da sè che di giorno sembravo una comparsa de "La notte dei morti viventi", causa anche la temperatura oltre i 30 gradi e un'umidità da piscina.
I primi giorni ce la siamo presa comoda, abbiamo visitato qualche tempio lì nei dintorni, preso le barche-bus per spostarci lungo il fiume dimenticando per un po' il traffico allucinante della città e osservando la gente che andava al lavoro, a scuola e misteriosamente in giro con ceste piene di teste di pesce. Abbiamo pure mangiato qualche tagliolino in brodo di cui avevamo sentito molto la mancanza a casa.
La mia mise in giro per Bangkok non era proprio delle più chic, come ambasciatrice del Made in Italy nel mondo non avrei fatto una gran figura ma dovete capire che girare in questi climi è complicato; oltre a tutto il solito armamentario del turista fai-da-te, già di suo piuttosto ingombrante, avevo sempre con me quanto segue:
1) un ombrello parasole (qui li vendono foderati dentro così non passa neanche un raggio di sole) ispiratomi dalle signore giapponesi, che evidentemente ne sanno a pacchi perché l'ammennicolo in questione  riduce di almeno 4-5 gradi la temperatura avvertita e sarà quindi mio inseparabile compagno per tutti i secoli dei secoli, amen
2) una felpa da indossare sul treno sopraelevato, nei centri commerciali, sui taxi e in generale ovunque abbiano l'aria condizionata accesa, essendo normale arrivare da fuori (35 gradi) e trovarsi in un ambiente a 18-20 gradi che ti congela il sudore addosso e poi ti ammali e cominci a starnutire, cosa che qui pare non essere ben vista e si rischia di fare la figura dei soliti farang buzzurri
3) un pareo da avvolgermi intorno a mo' di gonna per quando si entra in un tempio dove le peccaminosissime ginocchia devono essere nascoste (per le braccia ho una maglietta con manica)
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Fare i turisti non è sport per tutti.
Una volta ripresi ritmi di vita normali, abbiamo acquistato due biglietti per l'autobus che andava in Cambogia, un viaggio, un delirio.

Ma di questo parleremo la prossima volta.

Estremo Oriente con Estrema Riluttanza: un viaggio, un delirio, un karma

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Oggi siamo in partenza per la Cambogia, viaggio in autobus con durata prevista di nove ore (quindi potenzialmente di quindici, niente panico). Chiaro che prima dobbiamo arrivare alla stazione di Mo Chit che trovasi non proprio dietro l'angolo quindi  non c'è tempo da perdere, alle 07.00 ci alziamo e senza neppure fare colazione (la faremo in stazione) scendiamo in strada alla ricerca di un taxi.
Ieri il percorso dalla stazione dei bus fino all'albergo (eravamo andati a fare i biglietti) ha richiesto poco meno di mezz'ora ma si sa che la mattina a Bangkok nell'ora di punta è tutta un'altra storia quindi, anche se il nostro autobus parte alle 9.00, alle 7.30 stiamo già salendo sul taxi.
Si dà il caso che il mezzo che abbiamo scelto sia guidato da uno di quegli individui che da noi in Romagna sono generalmente noti come rabaziéri, quelli che cercano di fregarti anche mentre respirano, non ce l'hanno con te, ce l'hanno nel DNA.
Il tizio in questione, il cui tassametro è abilmente coperto da un enorme groviglio di oggetti appesi allo specchietto retrovisore, inizialmente tenta di estorcerci quasi il triplo rispetto a quanto pagato il giorno
prima per lo stesso tragitto, poi dopo un duro negoziato concordiamo 200 baht + 50 per il pedaggio dell'autostrada (necessaria dato il traffico in città). Pur essendo una cifra superiore a quanto pagato ieri, alla fine accettiamo, più che altro per sfinimento.
Una volta conclusa la trattativa ci rilassiamo sul sedile posteriore del taxi convinti che ormai il più sia fatto ma non ci vuole molto prima che ci rendiamo conto che la cosa butta male, perché a Bangkok quando butta male butta veramente male, puoi passare mezz'ora immobile nello stesso punto senza alcuna motivazione apparente se non il fatto che quelli davanti a te non si muovono.
Decidiamo di prenderla con filosofia, dopotutto abbiamo un'ora e mezza e ci basta arrivare all'autostrada, una volta là il traffico scorrerà sicuramente meglio. Peccato che questa benedetta autostrada non arrivi mai, mentre il taxi si muove a singhiozzo e le 9 si avvicinano sempre di più.
Non essendo abituata a mangiarmi le unghie, mentre Rico tamburella nervosamente con le dita sullo sportello, io mi limito a farmi venire la gastrite e, con lo sguardo perso e la speranza in rovinosa picchiata (sono ormai passate le 9), comincio a elaborare piani di emergenza, tutti con un unico comune denominatore: io a Bangkok non voglio restare quindi l'unica è arrivare alla stazione e poi scegliere una destinazione tra quelle degli autobus che partono stamattina. L'avventura con la A maiuscola.
Mentre il cervello elabora opzioni, alzo distrattamente gli occhi e così, senza alcun preavviso, mi trovo davanti la stazione dei bus mentre un pensiero si fa prepotentemente strada accompagnato da un giramento di zebedei di proporzioni cosmiche: lo stronzo non ha preso l'autostrada, probabilmente contando sul fatto che non ce ne saremmo accorti e avrebbe quindi intascato dei soldi in più. Guardo Rico e anche lui se n'è accorto, gli fa presente che non ha preso l'autostrada e chiede una spiegazione, ma quello fa finta di niente e si ferma davanti all'ingresso.
C'è da dire che io quando mi arrabbio per davvero non perdo le staffe, non urlo, al contrario divento estremamente calma; ho chiesto a Rico di scaricare i bagagli e poi mi sono piantata davanti al tizio con una faccia che immagino parlasse da sola e gli ho detto che lui l'autostrada non l'aveva presa per cui i soldi in più se li poteva scordare perché ci aveva fatto perdere l'autobus e quindi un sacco di soldi; il nostro eroe l'ha presa bene, da vero signore, mi ha mostrato il dito e regalato un simpatico fuck you.
Paese che vai, rabaziere che trovi.
Siamo entrati in stazione parecchio mogi (io più che altro mandavo fiamme dal naso) e siamo andati verso la corsia del bus per la Cambogia per vedere se magari quel giorno c'era un'altra corsa.
Il bus era ancora lì!
Causa traffico mancavamo all'appello in quattro e, avendo dato loro i nostri nominativi la sera prima, ci stavano aspettando nonostante fossero le 9.15 (avremmo imparato dopo che l'orario di partenza dei bus in Thailandia è piuttosto elastico)
Non sto a dirvi il sollievo e la felicità all'idea di non dover cambiare tutti i nostri programmi. Siamo saliti scusandoci del ritardo e dopo qualche minuto, una volta arrivati anche gli ultimi due e il bus è partito in direzione Cambogia, un viaggio lungo (causa anche burocrazia lentissima al confine) ma sostanzialmente tranquillo.
Appena scesi dall'autobus a Siem Reap siamo stati arpionati dall'autista di un tuk tuk che ci ha portati all'albergo che avevamo scelto (dove fortunatamente avevano una camera libera e soprattutto una piscina sulla terrazza) e poi si è gentilmente offerto di portarci l'indomani mattina a visitare il complesso di templi di Angkor Wat.
Stavamo per accettare quando l'uomo ci ha informati che il momento migliore per visitare il complesso è l'alba, per cui sarebbe passato a prenderci alle ore 5.00.
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Ora, non so voi ma io non riesco a pensare a un motivo abbastanza importante per cui io debba alzarmi alle 4.50 di notte, oltretutto in vacanza, quindi stavo per rispondere che se lo poteva sognare ma poi Rico ha insistito dicendo che se tutti andavano a quell'ora ci  doveva essere un motivo e che così avrei sofferto meno il caldo, io che me ne lamento sempre! A quel punto, probabilmente a causa della fatica e dello stress accumulati durante la giornata, il mio cervello è andato in tilt e quando finalmente si è riconnesso eravamo già in camera e l'escursione era stata concordata, per fortuna per due giorni dopo.
Un'ora più tardi, mentre sguazzavo in piscina godendomi il fresco dopo una giornata decisamente intensa, due pensieri facevano prepotentemente capolino nella mia testa:
1) come diavolo farò a svegliarmi alle 4.50? Sopravviverò per raccontarlo?
2) se l'autista rabaziere avesse usato il tassametro (che quando il taxi va molto piano inizia a tariffare a tempo) avrebbe probabilmente guadagnato di più.
Chissà se anche in Thailandia lo chiamano karma.

Estremo Oriente con Estrema Riluttanza: vedi Angkor Wat e poi muori

Apro gli occhi ed è buio, strano, sarà ancora notte, un falso allarme. Mi giro dall'altra parte però sento un suono, lo ascolto, io questo lo conosco, cos'è? Sembra la sveglia. All'improvviso, mi torna in mente tutto (anche se avrei preferito di no): Agkor Wat, la
visita guidata e soprattutto l'orario, sono le 4.30. Le 4.30 A.M.
Li odio tutti: l'autista, Rico, le rovine, l'umanità intera. Mi alzo con l'occhio a vongola, una fessura strettissima; vado in bagno, odio anche il bagno. Riesco miracolosamente a scendere le scale e mi ritrovo all'ingresso dove, nell'oscurità della notte, compare il nostro autista 100% cambogiano che si presenta come Mr Black (tipico nome locale). Saliamo su quella specie di risciò trainato da moto che è il tuk-tuk e partiamo verso le rovine. Poco a poco lungo la strada compaiono altri mezzi; ci raggiungono, ci superano, si accodano, sembra il rientro dei vacanzieri la domenica sera sulla statale Adriatica. Però è bello per una volta non morire dal caldo.
Devo dire che qui in Cambogia la gente guida in modo creativo, nel senso che quando arrivano agli incroci girano infilandosi in tutte le corsie, l'impressione è che quello del senso di marcia per loro sia un concetto opinabile.
Per fortuna il nostro baldo autista è uomo saggio e conosce il valore del casco per proteggersi dagli incidenti e infatti uno splendido casco pende da un bracciolo del tuk-tuk, versione asiatica del santino di San Cristoforo, patrono degli automobilisti. Speriamo solo che funzioni.
Quando finalmente arriviamo in zona rovine, siamo una mandria infinita, un mare di tuk-tuk.  Facciamo il biglietto e poi ci avviamo verso il primo tempio dove attenderemo tutti insieme il magico arrivo dell'alba. Lungo la strada la gente si affretta per prendere i posti migliori; io, data l'oscurità, preferisco rinunciare alla pole position ma almeno evitare di inciampare e rompermi l'osso del collo, anche perché il casco-santino è rimasto sul tuk-tuk.
Raggiunto il lago davanti al quale resteremo in piedi per un'ora in paziente attesa, guardandomi intorno noto alle nostre spalle una costruzione sui cui gradini alcune persone si stanno rapidamente accomodando; con una mossa repentina li raggiungiamo, guadagnando gli ultimi posti a sedere e scongiurando il rischio di iniziare l'esplorazione del sito avendo già un gran mal di schiena.
Nell'ora trascorsa seduti su quei gradini ho visto sfilarmi davanti un sacco di umanità e devo confessare che di parecchia di questa umanità si farebbe volentieri a meno. Prime fra tutte le tre fighe di legno (si può dire fighe di legno?) con la tinta bionda identica che ci hanno bruciato la retina (e sgardellato gli zebedei) per un'ora, facendosi continuamente delle foto mentre scrollavano la bionda criniera. E non dimentichiamo le sciantose, quelle che vai a visitare un sito dove sai che devi fare su e giù per scale, ruderi ecc per almeno sei ore e ti metti la zeppa trampolata e il vestito lungo di velo. Una menzione speciale va ai derelitti con bermuda e infradito, sarei stata curiosa di vedere i loro piedi a fine giornata. Anche perché (ma noi l'avremmo scoperto solo dopo) l'ingegnere che ha progettato sto complesso non doveva essere proprio un fulmine coi calcoli e secondo me si è accorto solo alla fine che non aveva spazio per fare delle scale normali, per cui ha infilato ovunque scale ripidissime e con gradini corti che anche per noi con le scarpe chiuse non erano proprio una passeggiata. Se fossi stata al suo posto avrei brillantemente risolto il problema sistemando intorno a ogni edificio un bel tapis roulant come in aeroporto (l'assenza di elettricità compensata da un pesante utilizzo di schiavi trascinatori). Volete mettere la comodità? Per non parlare del panorama...
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So che non dovrei dirlo (sito patrimonio dell'Umanità dell'Unesco ecc ecc) però la cosa in assoluto più bella per me sono stati questi alberi secolari immensi, maestosi, che ogni tanto incontravamo lungo il percorso e che puntualmente ci fermavamo a fotografare (solo noi e i turisti giapponesi). Uno l'abbiamo anche abbracciato.
Ah, prima che mi dimentichi: ore 06.00, tempo nuvoloso, alba spettacolare ciccia.


Più plebe, meno ipertensione

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Guardando gli ultimi post che ho scritto mi accorgo che da un po' di tempo non parlo di lavoro e non vorrei dare l'impressione che da queste parti si sta tutto il giorno a ballar la liulera, quindi oggi vi parlerò dell'ultimo convegno in cui ho lavorato e delle rughe in più che temo mi abbia lasciato.
Il venerdì mattina si parte in direzione Roma; alla guida del suo potente bolide c'è Mercedes*, mentre io sono finita nel posto del navigatore (errore madornale) e dietro ci sono Elena e Lorenza.
Per un po' tutto scorre tranquillo, facciamo le nostre chiacchiere mentre la macchina scivola lungo l'E45, oggi meno trafficata del solito: gli unici momenti difficili arrivano quando Mercedes si volta verso di me e mi fa domande sulla nostra posizione, tipo "Quindi girando di qua andiamo verso l'Aquila?" inconsapevole del fatto che per quanto ne so io potremmo essere diretti a Timbuctù.
Seguendo il navigatore arriviamo a destinazione in perfetto orario, peccato che dell'albergo che cerchiamo
non ci sia traccia; accostiamo un benzinaio e alle nostre domande l'uomo risponde con fare rassegnato che l'indirizzo riportato sul sito web è sbagliato, che l'albergo si trova a 9 km da lì e che la storia ormai va avanti da anni. Ci tengo a precisare che l'hotel in questione è un 4 stelle, il che forse non ci autorizza a pretendere la vasca idromassaggio in camera ma almeno l'indirizzo giusto sul sito...
Sul fronte lavorativo nessuna sorpresa, il convegno parte come mi aspettavo: i primi due relatori non ci hanno mandato materiale per prepararci, sappiamo solo il titolo dell'intervento, in compenso arrivano con presentazioni power point da oltre 100 pagine, nel nostro metro cubo di cabina di traduzione volano le maledizioni, si prevede una massiccia caduta di capelli entro 48 ore. Comunque, grazie al cielo, il pomeriggio finisce e ce ne possiamo tornare in camera a fare una doccia per poi collassare sul letto prima di cena; io invece di collassare sul letto mi ci infilo proprio dentro e, così facendo, mi accorgo che il mio lenzuolo è pieno di buchi, non uno ma quattro o cinque, è impossibile che la cameriera non se ne sia accorta!
A cena consulto le colleghe e i tecnici ma pare che la fortuna sia solo mia, i loro lenzuoli sono normali. Che sia un nuovo prodotto che stanno testando? Sarà certamente una soluzione innovativa per migliorare la traspirazione, il lenzuolo Geox, il lenzuolo che respira.
A cena l'animale morto la fa da padrone nel menu quindi Elena, che è vegetariana, chiede al cameriere un'insalata che però non si materializza; solo quando vengono a portarci i piatti per il dolce una cameriera nota che Elena non ha mangiato il secondo ma lei a quel punto risponde di non preoccuparsi, che mangerà direttamente il dessert. Risposta della cameriera "No, è meglio se mangi l'insalata, il dolce è un diplomatico, non è un gran che".
Quando finalmente arriva (noi stiamo già finendo il dolce), l'insalata  viene accompagnata dai condimenti di ordinanza, però al posto della saliera (forse troppo plebea), c'è una scicchissima ciotola bianca piena di sale con cucchiaino. Io quelli che hanno queste idee luminose e scicchissime li inviterei a farmi vedere come si fa a salare un'insalata con il cucchiaio senza buttarne giù una montagna, sarei curiosa. Il mio consiglio? Più plebe, meno ipertensione. E magari anche meno buchi nei lenzuoli.
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Tornando al convegno, uno dei pochi interventi in italiano lo fa un relatore che non è italiano ma, a detta sua, parla sei lingue e, oltre a fare il suo lavoro, tenere discorsi ai convegni ecc, a volte fa anche l'interprete. Manca solo che ci confessi di essere Batman.
Peccato che in un solo suo discorso facciano capolino parecchie di quelle sei lingue perché quando il gentiluomo in questione non ricorda una parola in italiano (e succede spesso) la sostituisce con il termine equivalente in spagnolo, francese o tedesco, tanto noi in cabina parliamo tutte le lingue dell'universo in un secondo, no?
Concludo con una chicca: verso la fine del secondo giorno uno dei relatori è entrato in sala convegni col cappellone texano e l'ha tenuto per tutto il suo discorso, sembrava di tradurre Tex Willer.

*Per chi non lo sapesse, è alla macchina che è stato dato il nome di una donna, non viceversa.

Coxo o non Coxo?

Solo due righe per informarvi che venerdì scorso, nonostante una marea di contrattempi, ostacoli e cattiverie varie da parte di un universo che pareva opporsi strenuamente ai miei piani (ne parlerò dettagliatamente in uno dei prossimi post, così almeno elaboro il trauma), sono riuscita a raggiungere incolume la sede di Radio Città Fujiko (anche grazie alla sapiente guida del prode Stefano Pasquinidove ero stata invitata a partecipare a Coxo Spaziale, il programma radiofonico condotto da Stefano Pasquini e da Fedra Boscaro tutti i venerdì sera dalle 22.30 alle 23.30
La mia prima partecipazione ufficiale a un evento pubblico in qualità di Estrema Riluttanza.
Per chi volesse riascoltare il programma, ecco il link:
http://coxospaziale.blogspot.it/2014/03/coxo-spaziale-41-21-marzo-2014-mali.html





In radio con Estrema Riluttanza: l'avvicinamento

Quel che si dice un venerdì da leoni: Farnedi è atteso in quel di Zola Predosa per un concerto di Eloisa Atti e del suo Penelope, io invece sono stata invitata alla trasmissione radio Coxo Spaziale condotta da Stefano Pasquini e Fedra Boscaro il venerdì sera su Radio Città Fujiko in quel di Bologna.
Partiamo nel pomeriggio in direzione Zola e confesso che sono un po' agitata da questa novità di andare in radio e oltretutto andarci come Estrema Riluttanza quindi, pur essendomi offerta di prendere la mia macchina, non ho protestato quando Rico ha detto che preferiva prendere la sua (tenetelo a mente).
Il primo inghippo si presenta in autostrada all'altezza di Faenza: fila chilometrica e successivi 40 minuti a passo d'uomo, i miei nervi non sono contenti però siamo partiti con largo anticipo quindi non ne fanno una tragedia, l'ottimismo è palpabile. Poi però la macchina comincia a mandare fumo dal cofano facendo strani rumori e i nervi rialzano la testa; un'occhiata alla temperatura sul cruscotto (che ricorda quella di Mercurio) ci costringe a fermarci nella prima piazzola.
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Scendiamo dalla macchina e apriamo il cofano (una mossa francamente inspiegabile considerato che mettendo le mani nel motore avremmo meno probabilità di successo che  tentando un bypass gastrico con il cucchiaio da dessert), a questo punto non ci resta che chiamare l'assistenza, questo sempre che si riesca a trovare il numero...
Mentre Farnedi telefona a destra e a manca (assicurazione, carro attrezzi, colleghi musicisti diretti a Zola)  io apro il vano documenti alla ricerca della polizza di assicurazione del 2014. Ci vogliono almeno dieci minuti di scavo archeologico, tra contrassegni e contratti del 2004, 2005 ecc, passando per un'inspiegabile bolletta di acqua e igiene ambientale della casa del nonno di Farnedi (credo del 2008), ma alla fine riemergo vittoriosa stringendo in mano il vitale documento.
Una volta riorganizzata la situazione, deciso dove far portare la macchina, chiamata l'officina ecc ecc, ci facciamo lasciare dal carroattrezzi a Imola e, dovendo aspettare un sant'uomo che risponde al nome di Federico Braschi e che si è offerto di darci uno strappo a Zola, entriamo al bar del Molino Rosso, proprio all'uscita dell'autostrada. Siamo stanchi e provati dall'esperienza ma tutto sommato fieri di come abbiamo gestito l'emergenza quindi decidiamo di festeggiare con un aperitivo (dato il ritardo è improbabile che si riesca a cenare...).
Arriviamo al teatro di Zola verso le 20 (n.b. eravamo usciti di casa intorno alle 16.30) e mentirei se dicessi che sono fresca come una rosa, però ce l'abbiamo fatta e quello è l'importante. I musici iniziano le loro prove e io mi siedo con un sospiro dietro le quinte.
Pensando che Pasquini si starà chiedendo che fine abbiamo fatto, infilo una mano nella borsa per prendere il cellulare e mandargli un messaggio. Quando la ritiro è tutta bagnata: la bottiglia d'acqua che avevo in borsa si deve essere aperta e la borsa è tutta piena d'acqua.
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Mi rendo conto che nei momenti difficili è importante mantenere la calma e non lasciarsi prendere dallo sconforto, però ci dovrebbe essere un limite al numero di avversità giornaliere che a una tocca sopportare e, secondo me, quel giorno io l'avevo già ampiamente raggiunto e superato, anche senza la boccia di pesci rossi in borsa. Confesso che là da sola
dietro quel palco, mentre tiravo fuori dalla borsa tutta la roba bagnata, mi veniva un po' da piangere. Ho tolto tutto e capovolto la borsa (è uscito un rivolo d'acqua, come nelle comiche di Stanlio e Olio), asciugando come potevo con dei fazzoletti di carta, tutto in automatico, senza pensare, pensare in quei momenti non aiuta.

Ecco, in questo punto preciso segnerei il nadir della giornata che poi, fortunatamente, ha recuperato alla grande nelle ore successive. Restate in zona che nei prossimi giorni arriva la seconda parte, quella bella.


P.P.S. Questo articolo è stato scritto per la mia rubrica L'angolo dell'Estrema Riluttanza su Stonehand Express

In radio con Estrema Riluttanza: si va in scena!

Riprendiamo da dove avevamo interrotto (per la prima parte dell'avventura vedi In radio con Estrema Riluttanza: l'avvcinamento).
Sono seduta su una panca dietro le quinte del teatro di Zola Predosa, ho sulle ginocchia una borsa bagnaticcia e sul tavolino di fronte a me è ammucchiato il contenuto della suddetta bagnaticcia.
Mentre me ne sto lì a contemplare i resti della mia personale Atlantide, ecco arrivare Riccardo Lolli (anche lui tra i musici che suoneranno a breve) il quale mi consegna una grossa busta gialla con una frase che da sola basta a restituirmi il sorriso: "Ti ho portato la maglietta"
La maglietta in questione è un gadget collegato al CD appena pubblicato dal maestro Lolli ed era attesa da tempo, quindi trovarmela tra le braccia inaspettatamente dà un grosso contributo al ri-sollevamento del mio morale; non potendola infilare in borsa per ovvi e umidi motivi, la appoggio sul tavolino vicino al resto dei miei resti e mi avvicino al palco per godermi le prove di Scilla e Cariddi che questa sera prevedono la presenza di un coro composto dai due figli di Lolli, Giulio e Francesco, e dalla figlia del chitarrista Marco Bovi, Giulia.
Mentre i bambini provano le maschere che indosseranno sul palco, mi arriva la chiamata di Pasquini che mi sta aspettando fuori, quindi raccolgo alla meglio le mie cose e mi congedo, purtroppo senza sentire neppure l'inizio del concerto.
Pasquini è d'accordo con Fedra (Fedra Boscaro co-conduttrice del programma) che ci vedremo verso le 22  per andare insieme in radio quindi per ingannare l'attesa ci infiliamo in un bar; sto per ordinare la solita
cocacola (e solo perché non sta bene andare in un bar e chiedere l'acqua minerale) ma Pasquini mi accusa di farlo sentire un alcolista quindi ripiego su uno Spritz e ammetto che, dopo la giornata che ho avuto, anche il debolissimo alcol del beverone arancione fa un piacevole effetto.
Nel bel mezzo di tutto questo, una minuscola parte del mio cervello si sta facendo un suo contorto viaggio mentale: mi faranno delle domande? E se m'impappino? Speriamo di no, sai che figura... E se premo un tasto e faccio un casino? Meglio tenere le mani sotto il tavolo. E se invece alla fine non mi chiedono niente? Speriamo almeno di essere vestita in tinta con la tappezzeria...
Mentre usciamo dal bar per andare all'appuntamento con Fedra mi rendo conto di aver lasciato la maglietta di Lolli in teatro, porcaccia paletta! Vabbè, manderò un sms a Farnedi chiedendogli di prenderla su...
Arriviamo in radio e nel giro di qualche minuto le conduttrici del programma in onda si congedano, escono dalla sala e tocca a noi.
Mi siedo davanti al pc, mi metto le cuffie e mi verrebbe naturale iniziare a tradurre Good evening ladies and gentlemen... ma ho ancora qualche neurone funzionante quindi riesco a trattenermi; mi guardo intorno e per fortuna non ci sono tasti pericolosi che possa schiacciare per cui mi rilasso e ascolto Fedra e Stefano che introducono la puntata, cercando di entrare nel ritmo di Coxo che è sempre piuttosto imprevedibile.
Il programma avrebbe come argomento centrale l'arte contemporanea e i suoi protagonisti ma, in realtà, in quei sessanta minuti vengono chiamati in causa i temi più disparati e la trasmissione si sviluppa lungo mille direttrici diverse, se ti distrai è finita.
Mentre li ascolto chiacchierare di tecnologia intravedo la possibilità di fare il mio primo commento e mi
lancio: si parla di cellulari e io butto là: "sul mio Messenger non va, è vecchio come le Piramidi", come potevo immaginare che in ascolto ci sarebbe stata anche mia sorella (che quel cellulare me l'ha regalato per sostituire il carrettone che usavo prima)? Cominciamo bene!
La prima canzone che mandano in onda è Borderline di Madonna e, a giudicare dai commenti di Fedra, deve essere una di quelle canzoni che hanno lasciato il segno; io ovviamente non l'ho mai sentita prima ma, a mia discolpa, in quegli anni giocavo ancora con le Barbie.
Riesaminando la mia performance direi che si sono avverate solo metà delle mie funeste predizioni: mi hanno fatto qualche domanda diretta, mi sono impappinata, però perlomeno non ho rotto niente né fatto scena muta, anzi alla fine cominciavo proprio a prenderci gusto.
Non mancano ovviamente i momenti difficili, primo fra tutti quello della richiesta arrivata da un fedele ascoltatore del programma che vuole sentire "Alzati la gonna" suonata dalla Steve Rogers Band; Pasquini si tuffa in youtube emergendone con un video di quelli che ti fanno capire chiaramente perché gli anni 80 è meglio che rimangano dove sono...
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A fine trasmissione salutati tutti, io e Pasquini torniamo sui nostri passi e raggiungiamo i musici che cenano in pizzeria; purtroppo parlando con Farnedi scopro che della mia maglietta s'è persa ogni traccia ma ormai non ho più la forza di reagire, mi accascio su una sedia e ordino una pizza napoletana.
Vi darà un'idea del mio stato di esaurimento psicofisico se vi dico che solo dopo aver spazzolato
via la pizza mi rendo conto di non essermi lavata le mani prima di mangiare, quelle stesse mani con cui avevo ripetutamente accarezzato la cana mascotte della radio (vedi foto). Speriamo solo di avere degli anticorpi buoni.

Bene, con questo concludiamo la trasmissione di oggi, ringraziamo gli ospiti, lo sponsor e vi diamo appuntamento alla prossima puntata, questo sì, con Estrema Riluttanza.

Salume nell'intimo

E torniamo a parlare di mutande.
Non so perché questa tematica ricorra nei miei post (vedi Qualche problema nella sfera dell'intimo?), forse è solo che le pubblicità in questo settore risultano particolarmente inspiegabili, boh.
La foto in questione l'ho trovata su Grazia e, come le sue sorelle in passato, mi ha lasciato parecchio perplessa; posso capire l'idea di strizzare l'occhio alla consolidata tradizione del bondage ma non sembra anche a voi che sta donna abbia un complesso sistema di tiranti sulle chiappe?
A nessuno dei pubblicitari è venuto in mente che la pubblicità non restituisce un'idea positivissima del tono muscolare del fondoschiena della signora?
Ovviamente, trattandosi di una che di mestiere fa la modella, diamo per scontato che sul suo popò ci si possano ammaccare i pinoli, però tutto il lavoro lo fa l'immaginario della modella-tipo, non certo quella mutanda.
E pensiamo per un momento all'effetto che quei simpatici tiranti farebbero su chi la modella non fa e quindi non può vantare un didietro che sfida la forza di gravità, non c'è il rischio di somigliare fortemente a un salame con il suo bel cordino intorno?
Poi cosa fai se per caso te la togli (perché magari hai trovato da fare del buono) e ti ritrovi col sedere pieno di righe come quando in estate in costume ti sedevi su quelle sedie fatte di fili di plastica intrecciati?
Meditate gente, meditate.

Fuori Catalogo con Riccardo Lolli e quant'altro

Quella di oggi è un'assoluta novità, ho deciso di lanciarmi in una recensione: parliamo ovviamente di dischi, nello specifico di Fuori Catalogo, opera prima di Riccardo Lolli fresca di pubblicazione grazie a un ardito progetto di crowdfunding.

Di Riccardo Lolli e della sua voce mi è capitato di parlare già in altre occasioni (vedi La genesi dei biscotti) ma oggi il compito è molto più arduo, vorrei mettere su carta le sensazioni e i pensieri che si accavallano nella mia testa mentre ascolto il suo CD.
Non so se vi è mai capitato di fare uno di quei test in cui vi mostrano un'immagine e poi vi chiedono se riuscite, dentro la stessa immagine, a individuarne un'altra, e magari voi provate ma non ce la fate quindi, quando finalmente ve la indicano, finite col sentirvi parecchio tonti perché l'immagine è lì, chiarissima, solo che voi non riuscivate a vederla.
Ecco, ascoltando le canzoni di Riccardo Lolli ti senti così, un momento ti trovi in piedi in una stanza e il momento dopo tutto si è capovolto e al posto del tavolino c'è il lampadario, però la cosa ti appare assolutamente logica e naturale e quel lampadario è in effetti un perfetto tavolino, eri tu che non lo guardavi bene.
Non so, sarà che in mezzo a tanta prevedibilità, circondata da parole che vedi arrivare da chilometri di distanza, il fatto di essere sorpresa, di trovarti a guardare il mondo con un paio di lenti diverse, fa un gran bene.
E poi ogni canzone è un po' come la borsa di Mary Poppins, magari da fuori sembra solo una borsa, niente di speciale, poi però Lolli ci infila una mano e tira fuori il mondo, e tu ti ritrovi senza sapere bene come su un autobus di linea tra avvocati, e cipolline sottaceto, a sorridere di cinghiali illegali e arti artificiali, ma sempre con il cuore stretto di chi sa che al momento il capolinea è tutto quel che ho.
Dopo aver ascoltato qualche canzone ti viene da pensare che sì, finalmente l'hai inquadrato, sai chi hai di fronte; e invece lui ti confessa che si è innamorato di un floppy disk e tu lì per lì non sai che pesci prendere e c'è una tenerezza palpabile che non sai bene dove mettere, hai troppe cose tra le mani e non sai come gestirle.
Quando finalmente arriva Fuori catalogo, sei pronta a qualunque cosa, non sai cosa aspettarti ma sai che non lo sai ed è bello aprire le orecchie pronta al prossimo regalo, perché queste cose qui non le puoi pretendere, arrivano in dono e tu le accetti, come dice Lolli ad altezza di bambino ci son le caramelle, lei che è alto riesce a prendermi le stelle.

Lolli per fortuna è alto un gran bel po'.


P.S. Questo articolo è stato scritto per la mia rubrica L'angolo dell'Estrema Riluttanza su Stonehand Express





I ragazzini ai fornelli, quei sadici

L'unica vera incognita della serata era il parcheggio, tutto il resto era noto: dove (teatro Duse a Bologna), con chi (mia sorella), cosa (concerto di Sergio Caputo per il trentennale di Un sabato italiano).

La Checca è arrivata puntualissima all'appuntamento e prudentemente dotata di navigatore (Bologna è matrigna con l'automobilista di provincia); una volta guadagnato il centro città, ci sono voluti parecchi giri a vuoto ma alla fine anche noi abbiamo rimediato un parcheggio e, tutto considerato, neanche tanto distante. Mentre camminavamo verso il teatro, ricordo di aver pensato che fortuna che ci fosse mia sorella con me; in famiglia siamo abituati a muoverci e due passi non ci spaventano mentre in passato ho dovuto affrontare vere e proprie sollevazioni di popolo solo per aver tentato di parcheggiare la macchina a 500 m dal locale scelto per la serata.
Dato che la cosa più memorabile della serata è avvenuta ben prima di raggiungere il teatro, mi limiterò a dire che il concerto è stato interessante (le canzoni del disco erano state rivisitate in chiave jazz) e a tratti molto divertente anche se, secondo me, un/una corista avrebbe reso più brillante la parte vocale.
Torniamo quindi a quei trenta minuti prima dell'inizio del concerto; avendo ancora un po' di tempo e parecchia fame abbiamo deciso di fermarci a mangiare qualcosa e proprio sulla strada, dopo millemila negozi di abbigliamento, abbiamo trovato una pizzeria da asporto con un paio di tavolini e una signora molto gentile. Sembrava fatta e invece, proprio al momento di ordinare la pizza, la mia mente (nello specifico la mia bocca) è stata momentaneamente posseduta una presenza aliena (o dal demogno, fate voi); questa è l'unica spiegazione che che potrebbe giustificare ai miei occhi il fatto di aver ordinato di mia spontanea volontà una pizza con la mozzarella.
Da quando ho memoria, io la pizza della pizzeria la mangio senza mozzarella, non perché sia intollerante ai
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Orrore!
latticini o vegana ma per un motivo molto più semplice: la mozzarella che fila mi fa schifissimo (lo so, ho sette anni) e a mio avviso ammoscia tutta la pizza; quando vedo quella roba gommosa sul piatto il mio stomaco fa i bagagli e appende all'uscio il cartello "Chiuso per protesta".
Le cose vanno un po' meglio con la pizza fatta in casa che cuoce per più tempo e asciuga il blob, in quel caso non c'è problema, ma in pizzeria non è proprio cosa...
Quando la signora mi ha allungato il piatto e mi sono resa conto dell'errore/orrore sono rimasta impietrita per qualche secondo senza sapere bene come reagire, fissavo il piatto che affogava in un mare di mozzarella e sapevo di dovermi rassegnare, di tempo per farmi fare un'altra pizza non ce n'era, toccava proprio mangiare quella. Alla fine ho preso le posate e mi sono fatta coraggio.
Nel corso della mia infanzia, quando situazioni del genere si presentavano (e si presentavano, a quei tempi le variazioni non erano di moda e in Italia la pizza senza mozzarella era inconcepibile) il mio modus operandi era sempre lo stesso: togliere il ripieno, rimuovere la massa gommosa, riposizionare il ripieno, mangiare; chiaro che a quel punto ormai la pizza era fredda e priva di pomodoro ma perlomeno si mangiava.
Con il sopraggiungere dell'età adulta sono un po' migliorata, soprattutto grazie alla dura scorza che il mio stomaco si è procurato nel corso di 15 anni di scoutismo in cui, per 15 giorni l'anno, mi ritrovavo a mangiare le sbobbe più abominevoli del creato (i ragazzini ai fornelli, quei sadici), quindi adesso quando capita (vedi la sera in questione) soffro in silenzio e mangio; non sarà un gran lusso ma - rifletto - è sempre meglio di quella volta che ci avevano sputato nel risotto. Cerchiamo di vedere il bicchiere mezzo pieno.

Capitan Findus e la maledizione dei titoli di coda

Giovedì primo maggio, dopo una rapida visita alle nipoti che giocavano in mutande al Festival degli Aquiloni a Cervia e un'altrettanta rapida fuga di fronte alla marea umana che stava calando sulla spiaggia, abbiamo deciso di concludere il pomeriggio al cinema.
Era da un po' che Enrico voleva vedere Capitan America 2 ma, onestamente, io di andare a al cinema e dilapidare 8 euri per vedere Big Jim col frisbee non avevo una gran voglia, quindi abbiamo raggiunto un onorevole compromesso, saremmo andati a vederlo in seconda visone alla modica cifra di 3,5 euri al cinema di Gambettola (e Bosch per gli oriundi).
Il cinema in questione è una di quelle vecchie sale di provincia di una volta (debitamente ristrutturata anni fa) però vanta alcuni notevoli vantaggi rispetto alle più moderne controparti, primo fra tutti il fatto di aver dimezzato il numero di posti eliminando una fila ogni due e garantendo così allo spettatore lungo-giuntato la possibilità di allungare le gambe all'infinito senza dare ginocchiate sul sedile davanti. Aggiungete il fatto che i 4,5 euri risparmiati sul biglietto si possono alla bisogna investire in loverie (liqurizie, patatine, semi di zucca ecc) e avrete praticamente la perfezione fatta cinema, almeno per me che i film in 3D non li posso guardare perché dopo un po' mi viene mal di testa.
Arrivati a Gambettola abbiamo parcheggiato lungo il corso e girato immediatamente la prua verso la multisala Abbondanza; mentre passeggiavamo godendo di una parentesi di sole in una settimana di tempo pessimo, abbiamo notato i nuovi lampioni istallati dall'amministrazione comunale, tutti provvisti di simpatici altoparlanti che diffondevano musica lungo il corso, una lodevole iniziativa se non fosse che la musica diffusa era quella roba unz unz più adatta a una discoteca alle ore piccole che a un corso di paese in un pomeriggio assolato. Vabbè, paese che vai...
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Arrivati al cinema in perfetto orario siamo però stati costretti a un'attesa di dieci minuti nell'atrio perché il film, oltre a essere lunghissimo, arrivava pure corredato da una delle solite sigle di chiusura della Marvel in cui dopo un miglio e mezzo di nomi che scorrono sullo schermo, ti compare a sorpresa una scena conclusiva. 
Le prime volte quella scena non la vedeva nessuno, adesso invece si sa e quindi i più tenaci tra gli spettatori aspettano con pazienza che sia passato sullo schermo anche il nome della cartomante del tizio che portava il pranzo al regista, solo per vedere quest'ultima scena che spesso ti porta a riflettere sul fatto che quei dieci minuti che hai sprecato ad aspettarla non te li ridà nessuno e alla tua età su queste cose c'è poco da scherzare.
Alla fine se dio vuole ci siamo seduti e, com'era da aspettarsi in un giorno festivo alle 16.50, dietro di noi si è posizionata una famiglia con non uno ma due bambini, uno dei quali ogni volta che qualcuno nel film si menava (e trattandosi di un film di supereroi c'era quasi sempre qualcuno che si menava) faceva suoni onomatopeici tipo BAM! PIM! e via dicendo, più che un film pareva un videogioco. 
Non si faceva neppure mancare le interazioni con gli attori, quando Big Jim e la Gigina arrivano in un sotterraneo buio seguendo un segnale e Big Jim deluso sbotta "questa è una sala di 50 anni fa, il segnale non può essere venuto da qui!" il nostro piccolo eroe ha gridato "E invece sì!"
Poi, per carità, aveva anche ragione.
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Un'ultima chicca tra le varie del pomeriggio: Robert Redford  incontra Samuel Jackson e i due, amici di vecchia data, si stringono la mano; in quel mentre sento una vocina alle mie spalle "Ma sono fratelli?"
Confesso che il film per me è stato di una noia mortale e i commenti del mio vicino di dietro sono stati provvidenziali fonti d'ilarità che mi hanno aiutato a far passare quelle due ore di botte da orbi, lanci di frisbee e mono-espressioni che fanno pensare che forse Capitan Findus non avevano mica finito di scongelarlo...
Almeno Clint Eastwood di espressioni ne aveva due.



P.S. Per un'ulteriore recensione del film in questione vi consiglio quella del prode Farnedi seduto accanto a me:

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